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Cinque domande a Luca Malvezzi

Specialista in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale – IRCCS Istituto Clinico Humanitas

Qual è il suo ambito di ricerca?

L’otorinolaringoiatria mi ha colpito fin dalle prime esperienze in ospedale, quando ancora ero un giovane studente. È una specialità spesso poco considerata, focalizzata nel distretto corporeo che va all’incirca dal margine superiore della clavicola alla base del cranio. Ricchezza di anatomia, patologia e la grande variabilità di procedure chirurgiche consentono al chirurgo cervico-facciale di esplorare un mondo di conoscenze in continua evoluzione.

La vita è fatta di sliding doors, un pizzico di fortuna aiuta a ritrovarsi nel posto giusto al momento giusto, la giusta prontezza consente di saperlo riconoscere e cogliere. Tre “visionari” e tanti amici nell’attività quotidiana hanno indirizzato i miei interessi clinici. Paolo Castelnuovo ha contribuito in modo forte alla divulgazione delle tecniche endoscopiche in ambito rinosinusale e certamente alla mia passione per la patologia di questo distretto. Il mio attuale responsabile, professor Giuseppe Spriano, ha formato numerosi brillanti colleghi. Traduzione: sa insegnare e quindi sa fare, e sa anche lasciare responsabilità e spazio ai suoi collaboratori. In mezzo Walter Canonica, ovvero… cliccare il suo nome su PubMed per le presentazioni!

Cosa è accaduto in Humanitas?

Fronte ricerca, la svolta è arrivata nel 2017, con una telefonata. “Pronto, sono Walter Canonica (il professor Giorgio Walter Canonica, Responsabile Centro Medicina Personalizzata Asma e Allergologia, NDR) piacere di conoscerti, sono interessato alla tua esperienza nell’ambito della patologia infiammatoria rinosinusale, tu saresti interessato a fare ricerca oltre al chirurgo?” È stata come una scintilla, ci è voluto proprio poco per farmi appassionare a questo progetto che romanticamente mi ha riavvicinato alle origini della mia formazione, che mi ha consentito di diversificare l’attività quotidiana, ma soprattutto stimolato a guardare da un punto di vista differente una patologia da tutti ancora dichiaratamente poco compresa, ma ostinatamente trattata sempre allo stesso modo: il mondo della rinosinusite con polipi nasale e, soprattutto, il mondo dell’infiammazione. La difficoltà è stata nel conciliare l’attività lavorativa con la necessità di studiare per aggiornare le conoscenze, metabolizzando la consapevolezza che il giorno dopo e quello dopo ancora ci sarebbero state nuove informazioni da assorbire, ma questo è il fascino della medicina, una scienza ongoing.

Su cosa si sta concentrando la sua ricerca oggi?

Mi occupo di studiare la rinosinusite con poliposi nasale cronica, un ambito in cui il camice azzurro del chirurgico “si fonde” con quello bianco del clinico. La rinosinusite ha storicamente rappresentato un ambito in cui l’otorinolaringoiatra ha speso poco dal punto di visita diagnostico, dimenticandosi che il miglioramento della tecnica chirurgica regalato dall’evoluzione tecnologica non necessariamente significa raggiungimento dell’obiettivo terapeutico. Il possibile utilizzo degli anticorpi monoclonali nella patologia infiammatoria cronica severa ha, non solo prospettato una nuova opzione terapeutica, ma di fatto spostato molto l’attenzione sulla diagnosi della malattia.

Siamo entrati nell’era della medicina di precisione, in cui, sulla base dell’identificazione del meccanismo immunologico, possiamo formulare una diagnosi più accurata, predire la risposta ad un trattamento o scegliere un farmaco che abbia un’azione selettiva. Con il gruppo del professor Canonica abbiamo partecipato a numerosi trials sperimentali di fase III, che ci hanno regalato l’emozione di valutare gli effetti di farmaci “nuovi” per il trattamento della rinosinusite con poliposi nasale, consentendoci allo stesso tempo, di raccogliere tante informazioni sugli aspetti fino ad ora sconosciuti di questa patologia.

Dalla collaborazione tra otorini, allergologi e pneumologi è nata non solo amicizia e affiatamento nella ricerca, ma anche contributi scientifici e stesura di protocolli per la gestione multidisciplinare del paziente con infiammazione di tipo 2 e l’impiego di farmaci biologici per il trattamento delle rinosinusite con poliposi nasale con severo impatto sulla qualità di vita. E poi, sono arrivate le cariche istituzionali all’interno della Società Italiana di Otorinolaringoiatria come membro del direttivo della Commissione Italiana dei farmaci biologici.
In Humanitas è stato adottato questo modello multidisciplinare di approccio diagnostico-assistenziale- terapeutico e di follow up del malato affetto da infiammazione complessa delle vie aeree superiori ed inferiori, offrendo ai nostri pazienti un’alternativa farmacologica alla chirurgia, che comunque rimane un passaggio fondamentale nel percorso di cura.

Perché pensa che questa ricerca possa essere importante per la vita delle persone?

Cito il prof. Dioguardi:

“nella malattia cronica il medico non può avere la presunzione di curare, ma prevenire le complicanze e migliorare la qualità di vita dei pazienti”.

La rinosinusite con poliposi nasale non ha certamente lo stesso impatto sociale delle malattie oncologiche, ma nemmeno può essere considerata poco più di un raffreddore.

I dati epidemiologici sulla rinosinusite, l’interesse della letteratura medica, oltre 4000 papers su PubMed negli ultimi 5 anni, che fra l’altro ne documentano l’impatto sulla qualità di vita e le possibili ripercussioni sulla società anche in termini di costi sanitari, non possono essere trascurati; né, consapevoli dell’insuccesso, si può pensare che il paziente debba essere ancora una volta operato o trattato con forti dosi di cortisone.
La ricerca applicata alla clinica consente di andare oltre.

Barack Obama nel 2015 cita la medicina di precisione come modello per aumentare lo stato di benessere nei malati e delle famiglie dei malati di cancro o diabete, e per avvicinarli a informazioni personalizzate.

Oggi in ambito di infiammazione rinosinusale, possiamo fare la Medicina4P, così definita dal biologo Leroy Hood: medicina personalizzata, preventiva, predittiva e soprattutto partecipativa.

Poter personalizzare il piano terapeutico, anzitutto il percorso assistenziale, mantenendo il paziente al centro del progetto di cura, uscendo così dall’attuale logica dell’iperspecializzazione per concedersi a una visione olistica – a 360° – della medicina, credo sia l’obiettivo che ogni medico debba perseguire.

Secondo lei perché i donatori dovrebbero sostenere la ricerca Humanitas?

Perché investire tempo e risorse in ricerca è il fondamento della medicina: se noi ci fermiamo nella ricerca delle conoscenze non andiamo avanti, ma torniamo indietro, e questo per i pazienti può significare perdere un’opportunità terapeutica, guarire o non guarire.