Ritratto di scienza, parliamo della professione medica e di Ricerca con Domenica Lorusso
Domenica Lorusso è Professore Ordinario presso Humanitas University e responsabile della Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X. È cresciuta professionalmente tra l’Istituto Nazionale dei Tumori e il Policlinico Gemelli di Roma, dove ha ricoperto ruoli di responsabilità sempre maggiore, sia in ambito clinico sia di Ricerca, diventando nel tempo un punto di riferimento nazionale e internazionale per il trattamento delle neoplasie ginecologiche.
Attivamente impegnata nello sviluppo di strategie di trattamento innovative nei tumori ginecologici, ha gestito come principale investigator (la figura che è responsabile delle attività di sperimentazione concordate) oltre 200 studi di ricerca di fase I, II, III e IV ed è autrice di oltre 350 articoli.
Domenica Lorusso è anche parte attiva del consiglio direttivo del gruppo MITO, associazione di centri italiani che promuove la ricerca ma anche il migliore trattamento e la migliore informazione sulle neoplasie ginecologiche, classificate come rare e spesso, per questo, sottovalutate.
Cosa significa per lei fare Ricerca?
La Ricerca è una parte fondamentale del mio lavoro, alla quale non rinuncerei mai, perché mi permette di continuare a occuparmi di oncologia con energia e speranza anche nei momenti più difficili, quando la prognosi delle pazienti è infausta o i risultati di una terapia non sono quelli sperati. Come oncologi ci confrontiamo quotidianamente con la morte e non sempre ci sentiamo “più forti del cancro”. Grazie al mio lavoro posso contribuire concretamente al miglioramento della qualità delle cure con l’obiettivo, tra gli altri, di ridurre la tossicità dei trattamenti rivolti alle donne con neoplasie ginecologiche in fase avanzata.
La Ricerca è la mia fonte di energia positiva. Impegnarmi in progetti di Ricerca clinica e preclinica mi consente di evitare il burn-out e mi dà speranze sul futuro. Tutte le volte in cui un paziente curato con un nuovo farmaco frutto della Ricerca clinica a cui dedico moltissime energie resta in vita più a lungo, si rinnova la mia motivazione ad andare avanti. La Ricerca permette a me e ai colleghi di affrontare il cancro avendo dalla nostra parte strumenti di trattamento sempre più innovativi, meno aggressivi e più efficaci.
Cosa ama di più della sua professione?
La mia professione è una parte fondamentale della mia vita, non ho avuto figli e anche per questo ho avuto più tempo per dedicarmi alla carriera, e scegliere con attenzione e lungimiranza le posizioni che avrei voluto assumere. Sono soddisfatta ed entusiasta del mio nuovo ruolo in Humanitas, che mi permetterà di costruire nuovi percorsi di cura strutturati e multidisciplinari. Ho molte idee per migliorare ulteriormente quanto facciamo qui in Pio X e mi sto muovendo anche grazie alla collaborazione dei colleghi per introdurre diversi cambiamenti concreti per diventare un centro di riferimento per il trattamento delle neoplasie ginecologiche.
Se devo scegliere uno degli aspetti che amo di più della mia professione, però, scelgo la relazione umana con le pazienti, pronte al confronto e spesso molto generose anche nella malattia.
Come ha scelto di diventare medico?
I miei genitori avrebbero voluto che diventassi avvocato, come mio padre e come tutte le mie sorelle. Io però ho sentito fortemente il bisogno di diventare medico nel periodo in cui vidi mio nonno, malato di tumore, lasciare lentamente la vita. Fu per me molto doloroso e mi aprì gli occhi sull’importanza della figura del medico.
Ho capito che quella del medico era la professione giusta per me perché volevo occuparmi dei malati e perché volevo sapere cosa stava accadendo in prima persona, da dentro. Si tratta di qualcosa che fa parte di me.
Inoltre, volevo essere un medico diverso da quello che aveva seguito mio nonno, poco comunicativo e per nulla empatico. Anche quando gli strumenti contro un cancro, magari molto aggressivo, sono pochi, non bisogna mai scordarsi di guardare in faccia il paziente e la sua famiglia e spiegare loro le cose.
È stata l’esperienza personale a farle scegliere oncologia?
In realtà è stata una coincidenza. Avevo scelto di specializzarmi in ginecologia: sei mesi prima di concludere la specializzazione mi assegnarono un ruolo in un reparto di ginecologia oncologica presso il Policlinico Gemelli. Il nuovo responsabile stava formando una squadra di giovani professionisti e mi offrì di partecipare a uno studio di ricerca clinica. Non mi feci sfuggire l’opportunità e da lì cominciò un percorso, poi sfociato nel dottorato e in una collaborazione presso la Breast Unit dell’MD Anderson Cancer Center di Houston (USA) e l’ospedale di Bellinzona dove ho imparato a seguire gli studi di fas2 1. Iniziò così la mia carriera nella ginecologia oncologica.
Quale aspetto del lavoro di medico secondo lei sarebbe da cambiare?
Oggi c’è sempre più burocrazia di cui occuparsi, e i medici hanno sempre meno tempo per fare bene il loro lavoro, che è quello di occuparsi delle diagnosi e dei trattamenti. Ho in mente una possibile soluzione, anche se parziale, che aiuterebbe i medici a lavorare meglio, concentrandosi su ciò che fa realmente parte delle loro competenze.
Inoltre, vorrei contribuire a formare una nuova figura di infermiere professionale in grado di farsi carico di una parte fondamentale del nostro lavoro, che prevede di spiegare nel dettaglio le terapie ai pazienti, ascoltare le loro domande e dare tutte le risposte. Insegno in Humanitas e se una figura di questo tipo si dovesse rivelare efficace come immagino potremmo pensare di introdurre insegnamenti finalizzati a formare i giovani professionisti su questi aspetti. Mi occupo dello sviluppo del trattamento delle neoplasie ginecologiche e dell’attività di ricerca clinica, ma la mia esperienza nella strutturazione di servizi multidisciplinari che accompagnano i pazienti nei percorsi di cura a 360° potrebbe essere utile indipendentemente dalla specializzazione, in tutti i reparti.