Facebook Twitter WhatsApp LinkedIn Telegram

Progetti di ricerca

pentrassina 3
Argento Vivo Malattie ortopediche

Potenziale diagnostico di pentrassina 3 e valore predittivo della variabilità genetica in interleuchina-1b nelle osteomieliti

Il gruppo di Ricerca guidato da Antonio Inforzato, Responsabile dell’Unità di Ricerca presso il Laboratorio di Immunità Innata Cellulare ed Umorale, lavora da ben sei anni per individuare nuovi target molecolari utili a intercettare in anticipo soggetti con elevato rischio di infezioni ossee (osteomieliti). Tra i suoi obiettivi c’è anche quello di migliorare gli strumenti diagnostici in grado di informare e guidare la gestione clinica di queste infezioni.

Dopo un primo periodo in cui sono state consolidate le metodologie sperimentali necessarie al progetto, ricercatrici e ricercatori si sono concentrati sul ruolo di pentrassina 3 (PTX3) nel processo di infezione dell’osso e sulla possibilità di stimare il rischio genetico di sviluppare la malattia in soggetti con protesi totale d’anca e/o ginocchio. Il progetto è finanziato dalla Fondazione Beppe & Nuccy Angiolini. Vediamo insieme quali sono stati i traguardi raggiunti e quali saranno gli sviluppi futuri.

Caratteristiche delle infezioni alle ossa

La diagnosi e la terapia delle infezioni ossee sono complesse. Parliamo di una patologia che ha una bassa incidenza nella popolazione generale (da 10 a 90 casi per 100.000 individui a seconda dell’età) e che, tuttavia, provoca sintomi fortemente debilitanti con una spiccata tendenza alla cronicizzazione. Il trattamento, inoltre, prevede una serie di interventi clinici e chirurgici piuttosto invasivi. Perciò, nonostante il numero di casi sia contenuto, l’impatto della malattia sui pazienti e sul sistema sanitario è significativo ed è destinato a crescere, soprattutto a causa dell’aumento del numero di interventi di chirurgia protesica associato all’invecchiamento della popolazione.

È importante sottolineare che l’osteomielite non è facile da diagnosticare, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni. Il medico ortopedico, spesso, fatica a discriminare tra infezione o infiammazione dovuta ad altre cause. Lo specialista si può trovare, quindi, costretto a prescrivere terapie antibiotiche empiriche che, anche a causa della scarsa penetrazione dei farmaci nel tessuto osseo, possono favorire l’insorgenza di resistenze e lo sviluppo di infezioni secondarie. Queste condizioni, nel loro insieme, possono portare all’aggravarsi della patologia.

Trovare molecole utili alla diagnosi precoce, in questo contesto, è fondamentale. Conoscendo il ruolo di pentrassina 3 in altre infezioni, il team del Prof. Inforzato ha scelto di puntare proprio su questa proteina.

Perché “ancora” PTX3?

Pentrassina 3 è una molecola che ha una funzione ben nota nella risposta immunitaria alle infezioni, come è emerso nel corso degli ultimi venti anni in studi condotti sia in Humanitas che in altri gruppi indipendenti. In caso di patologia si attiva per proteggere l’organismo. In particolare, conosciamo il suo ruolo nelle infezioni opportunistiche, di cui le osteomieliti costituiscono un esempio perché sono mediate da un batterio, lo stafilococco aureo, che nella stragrande maggioranza dei casi è un semplice commensale. Questo microorganismo, cioè, è presente nel nostro corpo, specie a livello delle mucose, ma di solito non porta allo sviluppo di patologie. In condizioni di compromissione del sistema immunitario e/o delle barriere epiteliali, tuttavia, il batterio può diventare pericoloso. Il gruppo di Inforzato si è chiesto, allora, se PTX3 potesse rappresentare un marcatore diagnostico utile per identificare la presenza di osteomielite.

Da studi condotti negli anni precedenti, inoltre, sappiamo che PTX3 ha un ruolo nella fisiologia dell’osso e nella riparazione del tessuto in assenza di infezione, per esempio dopo una frattura.

PTX3 marcatore nella diagnosi precoce delle infezioni ossee

«Grazie agli studi condotti abbiamo scoperto un ruolo inatteso di PTX3 nella patogenesi dell’osteomielite batterica, per cui le proprietà immunomodulatorie di questa proteina vengono sfruttate dallo stafilococco per colonizzare il tessuto muscoloscheletrico. Un risultato raggiunto grazie a una stretta collaborazione con la Dott.sa Cristina Sobacchi, esperta in biologia dell’osso.

Inoltre, abbiamo individuato per PTX3 un potenziale diagnostico importante rispetto alla domanda di specificità che si pone il chirurgo ortopedico nel momento in cui ha un dubbio di infezione. – ha spiegato il Prof. Inforzato – Questa evidenza è emersa in uno studio, condotto presso l’Ortho Center di Humanitas in collaborazione con il Prof. Mattia Loppini, su una casistica clinica che costituisce un ottimo modello di osteomielite e che riguarda l’infezione della protesi di ginocchio ed anca».

Dopo questa prima scoperta ricercatrici e ricercatori si sono chiesti se la variabilità genetica potesse in qualche modo aiutare a perfezionare l’algoritmo diagnostico per le osteomieliti e, al tempo stesso, fornire indicazioni sul rischio di sviluppare l’infezione della protesi in soggetti sottoposti a chirurgia artroplastica.

L’impatto della variabilità genetica

Sappiamo da studi pregressi che la concentrazione della proteina PTX3 in diverse tipologie di matrici biologiche (come il sangue o il lavaggio broncoalveolare) dipende da polimorfismi presenti nel gene che codifica per questa molecola. Tali variazioni nel DNA possono modificare il rischio di sviluppare più facilmente un’infezione opportunistica o di svilupparla in modo più severo. Il team di Inforzato ha deciso allora di analizzare un certo numero di geni che sono noti per essere coinvolti nella risposta alle infezioni ossee e nell’espressione di PTX3, così da valutare la loro variabilità genetica ed i suoi effetti.

I risultati dello screening genetico

Questo studio genetico è stato condotto in modo retrospettivo, coinvolgendo una serie di pazienti con protesi d’anca e/o ginocchio che avrebbero dovuto sostituirla per cause non note (infezione, infiammazione, dislocamento). Il DNA dei soggetti arruolati nello studio è stato raccolto in modo molto semplice grazie a un campione di saliva.

Dalle analisi sono emersi alcuni polimorfismi che riguardano in particolare il gene INTERLEUCHINA-1b che codifica per un’importante citochina infiammatoria coinvolta, tra l’altro, nell’espressione di PTX3. Tale variabilità genetica è fortemente associata al rischio di infezioni ossee. Un’informazione del genere è preziosa perché dà al chirurgo ortopedico indicazioni su come migliorare il follow-up dei pazienti con protesi aiutando, ad esempio, a instaurare in modo tempestivo le migliori terapie antibiotiche. Dobbiamo pensare che si tratta di pazienti che il chirurgo ortopedico monitora per decenni: conoscere un’eventuale predisposizione genetica all’infezione ossea permette di seguirli al meglio. Inoltre, sottoponendo a screening chi dovrà affrontare un intervento protesico, è possibile sapere in anticipo se c’è un rischio maggiore di andare incontro a un’infezione delle ossa.

Inoltre, il team di Inforzato ha confermato che questi polimorfismi concorrono a definire la concentrazione di PTX3 in sede di infezione, evidenza utile ai fini del miglioramento degli attuali algoritmi diagnostici.

I prossimi passi nella ricerca sulle osteomieliti

«Sulla scia di questi risultati siamo partiti a febbraio 2024 con un nuovo studio clinico di validazione. Per confermare i risultati già ottenuti e pubblicati stiamo arruolando una nuova coorte di soggetti, con l’obiettivo di realizzare uno studio prospettico sul potenziale diagnostico di pentrassina 3 e sul valore predittivo della variabilità genetica di INTERLEUCHINA-1b. Inoltre, abbiamo intenzione di allargare il focus della ricerca a un altro sistema chiave dell’immunità innata, quello del complemento. Dagli esperimenti condotti finora sappiamo già che il complemento svolge un ruolo molto importante nella patogenesi dell’osteomielite» conclude il Prof. Inforzato.

Nel corso di questo lungo progetto di Ricerca, in collaborazione con l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (ISTEC) del CNR di Faenza e l’Università di Basilea, il team di Inforzato sta anche sviluppando nuovi biomateriali osteogenici e antibatterici che in un prossimo futuro potrebbero essere utilizzati per la realizzazione di protesi più sicure per i pazienti.