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Cicloturistica per la Ricerca
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La squadra ciclistica di Humanitas, in bici per la Ricerca

La squadra ciclistica di Humanitas è nata oltre 25 anni fa, all’incirca quando l’ospedale ha aperto i battenti. Da due anni, nel mese di ottobre, il gruppo, tra le diverse attività, partecipa alla cicloturistica che parte dalla Cooperativa S. Antonio in via Emilia Pavese, a Piacenza, snodandosi per circa 65 km in un percorso ad anello.

L’evento, denominato “Cicloturistica per la Ricerca”, ha l’obiettivo di raccogliere fondi a sostegno dei progetti sul tumore del pancreas condotti dal Reparto di Chirurgia Pancreatica diretto dal prof. Alessandro Zerbi. Ai partecipanti viene richiesto un contributo minimo di 10 euro.

Abbiamo intervistato il Dott. Manuel Marconi, Responsabile della sezione di Cardiologia Ambulatoriale dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e capitano della squadra ciclistica.

Quando e come è nata la squadra ciclistica?

Se ricordo bene, credo che i primi giri siano stati organizzati due anni dopo l’inaugurazione di Humanitas, nel ‘98 o nel ‘99. Da allora, la squadra riunisce un gruppo di colleghi e amici appassionati di bicicletta. Abbiamo sempre condiviso il desiderio di stare insieme e di metterci in sella, e quando possibile abbiamo cercato di ottenere visibilità per l’ospedale e le sue iniziative.

Nel tempo, il gruppo è cresciuto e ho coinvolto anche persone al di fuori della realtà di Humanitas, ma la squadra è sempre stata composta, per la maggior parte, da uomini e donne che lavorano nell’IRCCS. Siamo medici di ogni specialità, infermieri, tecnici di laboratorio. Nei primi anni abbiamo partecipato a numerose gare, ora l’età si fa sentire e non tutti hanno l’ambizione di continuare a gareggiare. Con un piccolo gruppo di ciclisti che hanno ancora voglia di testare i propri limiti ci cimentiamo anche oggi in gare più impegnative, basate sulle lunghe distanze più che sulla velocità. Come squadra, però, ci riuniamo tutti insieme almeno due volte all’anno, in autunno e in primavera. In queste occasioni scegliamo un percorso che sia abbordabile per tutti, indipendentemente dal grado di allenamento, e poi mangiamo insieme.

Come funziona la Cicloturistica per la Ricerca?

Da due anni abbiamo accolto la proposta del dottor Zerbi e come squadra ciclistica partecipiamo alla cicloturistica aperta al pubblico sulle colline del piacentino. È un’iniziativa nuova che ci ha conquistato subito e alla quale teniamo moltissimo, tanto che sono sicuro che diventerà una tradizione. L’ultima cicloturistica per raccogliere fondi per la Ricerca sul Pancreas è stata domenica 6 ottobre ed è stato un momento di condivisione molto bello, che ha coinvolto oltre 200 persone di tutte le età.

Si parte da Piacenza con un’andatura controllata, mantenuta dalla presenza di una macchina davanti e un’altra dietro al gruppo dei partecipanti. Quando si arriva sulle colline, nel tratto in salita, l’andatura diventa invece libera. Dopo le premiazioni previste per il gruppo più numeroso e per il partecipante più giovane e meno giovane ci si ritrova a mangiare tutti insieme. Si tratta di un evento molto ben organizzato, divertente e con uno scopo importante. I tumori del pancreas sono difficili da diagnosticare e da trattare, la Ricerca è l’unica strada percorribile per migliorare i percorsi di cura per i pazienti che ne sono affetti.

Qual è il suo ruolo in Humanitas e come è arrivato qui?

Credo di essere stato uno dei primi medici a lavorare in Humanitas, ho iniziato proprio nel ‘96 quando la struttura ha aperto. Lavoravo al Policlinico di Milano e il mio ex primario mi fece la proposta di trasferirmi. Ero al tempo stesso attratto e spaventato dall’idea di spostarmi e accettare questa nuova avventura perché non si sapeva ancora cosa sarebbe stato Humanitas, c’erano solo voci di corridoio e poche certezze.

Quando ho iniziato l’ospedale era vuoto, non c’era ancora neppure un paziente. C’era moltissimo da fare, andava tutto pensato e progettato, persino i moduli per l’accettazione. Ricordo molto bene l’emozione di quando abbiamo accolto i primi pazienti, allora non c’era ancora la convenzione del sistema sanitario nazionale. Successivamente abbiamo fatto tutti i passi necessari ad ottenerla, e poi c’è stata la svolta epocale: l’apertura del Pronto Soccorso e tutto quello che ne è seguito. Oggi l’IRCSS è un centro di eccellenza all’avanguardia per la cura di molte patologie. In un certo senso io sono testimone di tutti i diversi passaggi cruciali nella storia di Humanitas e ho una conoscenza trasversale dell’ospedale perché mi interfaccio con tanti specialisti di diverse aree, essendo chiamato spesso in consulenza o per emergenze cardiologiche.

Non capita spesso di vedere nascere un grande ospedale, e il risultato non è affatto una cosa scontata. Ci è voluto tantissimo impegno da parte di tutte le persone coinvolte, ogni tanto ci ripenso e credo che sia stata davvero un’esperienza pionieristica.

Ha sempre desiderato studiare medicina?

Ricordo che fin da bambino volevo fare il medico. Una passione che nasce da una questione di salute personale. Soffrivo di asma e quando ero bambino c’era la possibilità di sottoporsi alle prime vaccinazioni di desensibilizzazione. All’epoca il protocollo prevedeva una puntura settimanale.

Andavo dal mio medico di famiglia e lui, per tranquillità, mi teneva in studio sotto osservazione per alcune ore. Se non ricordo male frequentavo l’ultimo anno delle elementari o forse le medie. Per tenermi impegnato il medico mi dava alcuni compiti, come quello di accogliere i pazienti. Da quel momento in poi ho iniziato a desiderare di diventare un dottore e ho perseguito questo obiettivo con costanza fino ad arrivare dove sono oggi.