Facebook Twitter WhatsApp LinkedIn Telegram

Articoli

Blue One Diamo voce alla ricerca Prevenzione

Ritratti: 5 domande al dottor Gianluigi Taverna

Responsabile Urologia · Humanitas Mater Domini e ricercatore dell’IRCCS Humanitas

Dottor Taverna su quali temi e obiettivi è focalizzata la sua ricerca oggi?

Da sempre il nostro gruppo di lavoro si occupa di studiare le patologie della prostata, in particolare il tumore, facendo ricerca a più livelli.

Per quel che riguarda la ricerca di base stiamo cercando di comprendere meglio alcuni meccanismi che determinano lo sviluppo della neoplasia prostatica valutando la  vascolarizzazione ed il  rapporto tra le cellule tumorali e il substrato, che viene definito in termini tecnici “matrice cellulare”.  Con lo stesso gruppo di ricercatori, e collaborando con il Prof Fabio Grizzi dell’IRCCS Humanitas , siamo impegnati anche in ambito tecnologico allo scopo di migliorare l’approccio chirurgico utilizzando strumenti e soluzioni innovative.

Un’altra linea di ricerca sulla quale stiamo lavorando intensamente, in collaborazione con il Politecnico di Milano, ha come focus lo sviluppo di un naso elettronico  per la diagnosi precoce e non invasiva del tumore alla prostata.

Cosa si intende per “naso elettronico”?

Qualche anno fa abbiamo scoperto che, sostanzialmente, ogni tumore è caratterizzato da un odore specifico, anche quello della prostata. Abbiamo deciso così di addestrare alcuni cani perché lo riconoscessero, una modalità non completamente sconosciuta al mondo scientifico: siamo partiti dall’esperienza di un medico inglese che, a fine anni Ottanta, si è accorto che il suo cane, un doberman, era capace di “fiutare” la presenza del tumore alla pelle più aggressivo, il melanoma, senza sbagliare.

Tornando a noi, l’addestramento dei cani era un’idea affascinante ma comportava alcuni problemi, tra cui l’oggettiva difficoltà di replicare il metodo su larga scala: per questo abbiamo intrapreso un’altra direzione di ricerca, che ci ha portato a lavorare sul naso elettronico.

Abbiamo quindi intrapreso una affascinante collaborazione con il Politecnico di Milano, in particolare con la professoressa Laura Capelli e il suo staff, per riprodurre con un naso elettronico quanto appreso con i cani.

Qual è stata l’evoluzione della ricerca sul tumore alla prostata in questi anni e quali sono a suo avviso gli obiettivi del presente-futuro?

Il tumore alla prostata è una neoplasia  molto eterogenea, che si sviluppa principalmente dopo una certa età. Negli ultimi trent’anni si è cercato di capire i meccanismi di sviluppo del tumore e di selezionare gruppi di pazienti che avessero realmente necessità di un trattamento (chirurgia, radioterapia, terapia medica).

Il tumore alla prostata, nel 80% dei casi, è un tumore non palpabile e non visibile, e quindi ha un percorso diagnostico diverso rispetto ad altre forme neoplastiche. Per la mammella, il polmone o il rene, ad esempio, noi trattiamo quello che vediamo radiologicamente, ossia evidenziamo una “massa” e ragioniamo di conseguenza. Per il tumore della prostata il percorso è necessariamente diverso, perché la comparsa della “massa” è solo molto tardiva. Per tale ragione la sfida attuale si concentra su due obiettivi: da una parte semplificare e “alleggerire” gli esami di diagnosi precoce, dall’altro individuare in modo ancora più selettivo i pazienti che

necessitano realmente di essere trattati, evitando agli altri inutili e dolorosi percorsi terapeutici, e avvicinandoci il più possibile a quella che è definita la medicina di precisione o personalizzata.

Che ruolo ha in tutto questo il marcatore PSA?

Il PSA (Antigene Prostatico Specifico) è un enzima prodotto dalle cellule epiteliali della ghiandola prostatica e serve a fluidificare il liquido seminale. Una piccola quantità di PSA si trova sempre nel circolo sanguigno, ma suoi livelli elevati possono indicare una condizione anomala della ghiandola. E’ stato scoperto alcuni decenni fa ed è stata una rivoluzione: tra i marcatori che conosciamo è considerato quello più affidabile, anche se ricercatori vorrebbero che fosse sempre più preciso. Le ultime interpretazioni sul PSA si orientano a considerarlo come una “spia dei freni”: quando si accende nelle auto segnala che potrebbe esserci un problema elettronico o elettrico, da valutare con il proprio meccanico, cercando di evitare però approfondimenti inutili.

Il PSA ha salvato milioni di persone, oggi si cercano altri strumenti diagnostici, come il naso elettronico, che abbiano un’accuratezza ancora maggiore e possano aiutare i medici a selezionare chi deve essere curato e come.

Dottor Taverna, parliamo invece di lei: come mai ha scelto questa professione? Ha sempre voluto occuparsi di medicina e ricerca?

Da sempre ho due passioni, il tennis e la medicina: dal punto di vista professionale non ho mai pensato ad altro, mi interessava capire “come eravamo fatti” e ho dedicato tutta la vita, dagli studi in poi, a questo. Ho scelto di applicarmi alla chirurgia perché, tra i tanti ambiti della medicina, l’ho sempre considerato quello più vicino al mio carattere.

La ricerca è patrimonio di tutti: perché dovremmo esserne tutti responsabili e sostenerla concretamente?

Sono convinto che la ricerca debba essere assolutamente libera e contraddittoria, in continuo cambiamento. Dobbiamo permettere che ci siano degli studiosi “visionari” che portano avanti con metodo un’idea con la libertà di fare passi avanti pur rimanendo consapevoli di poter sbagliare e di dover cambiare percorso. Dobbiamo prenderci tutti cura della ricerca: è espressione preziosa dell’intelletto umano, ed è l’unica risorsa che abbiamo perché tecnologie e conoscenze si evolvano per migliorare sempre più la cura dei pazienti.

Basta voltarsi indietro per capire quanta strada ha percorso la ricerca in questi ultimi 30 anni: anche i filoni di ricerca che apparentemente non hanno portato risultati immediati sono stati terreno fertile per altri studiosi. Qui torniamo all’esempio del medico inglese e del fiuto del suo doberman nei confronti del melanoma: sono convinto che non ci sia mai un lavoro inutile, prima o poi torna tutto. Lo abbiamo visto in modo lampante con i vaccini Covid-19 che derivano dagli studi di Craig Mello, il biochimico statunitense che si è concentrato sullo studio del meccanismo di interferenza a RNA quando tutto il mondo era concentrato sul DNA, vincendo un Nobel per questo. Con il sostegno di tutti si può dare spazio a una ricerca libera che produce conoscenza a beneficio della salute della collettività e portarci molto lontano.

Responsabile Urologia · Humanitas Mater Domini e ricercatore dell’IRCCS Humanitas

Dottor Taverna su quali temi e obiettivi è focalizzata la sua ricerca oggi?

Da sempre il nostro gruppo di lavoro si occupa di studiare le patologie della prostata, in particolare il tumore, facendo ricerca a più livelli.

Per quel che riguarda la ricerca di base stiamo cercando di comprendere meglio alcuni meccanismi che determinano lo sviluppo della neoplasia prostatica valutando la  vascolarizzazione ed il  rapporto tra le cellule tumorali e il substrato, che viene definito in termini tecnici “matrice cellulare”.  Con lo stesso gruppo di ricercatori, e collaborando con il Prof Fabio Grizzi dell’IRCCS Humanitas , siamo impegnati anche in ambito tecnologico allo scopo di migliorare l’approccio chirurgico utilizzando strumenti e soluzioni innovative.

Un’altra linea di ricerca sulla quale stiamo lavorando intensamente, in collaborazione con il Politecnico di Milano, ha come focus lo sviluppo di un naso elettronico  per la diagnosi precoce e non invasiva del tumore alla prostata.

Cosa si intende per “naso elettronico”?

Qualche anno fa abbiamo scoperto che, sostanzialmente, ogni tumore è caratterizzato da un odore specifico, anche quello della prostata. Abbiamo deciso così di addestrare alcuni cani perché lo riconoscessero, una modalità non completamente sconosciuta al mondo scientifico: siamo partiti dall’esperienza di un medico inglese che, a fine anni Ottanta, si è accorto che il suo cane, un doberman, era capace di “fiutare” la presenza del tumore alla pelle più aggressivo, il melanoma, senza sbagliare.

Tornando a noi, l’addestramento dei cani era un’idea affascinante ma comportava alcuni problemi, tra cui l’oggettiva difficoltà di replicare il metodo su larga scala: per questo abbiamo intrapreso un’altra direzione di ricerca, che ci ha portato a lavorare sul naso elettronico.

Abbiamo quindi intrapreso una affascinante collaborazione con il Politecnico di Milano, in particolare con la professoressa Laura Capelli e il suo staff, per riprodurre con un naso elettronico quanto appreso con i cani.

Qual è stata l’evoluzione della ricerca sul tumore alla prostata in questi anni e quali sono a suo avviso gli obiettivi del presente-futuro?

Il tumore alla prostata è una neoplasia  molto eterogenea, che si sviluppa principalmente dopo una certa età. Negli ultimi trent’anni si è cercato di capire i meccanismi di sviluppo del tumore e di selezionare gruppi di pazienti che avessero realmente necessità di un trattamento (chirurgia, radioterapia, terapia medica).

Il tumore alla prostata, nel 80% dei casi, è un tumore non palpabile e non visibile, e quindi ha un percorso diagnostico diverso rispetto ad altre forme neoplastiche. Per la mammella, il polmone o il rene, ad esempio, noi trattiamo quello che vediamo radiologicamente, ossia evidenziamo una “massa” e ragioniamo di conseguenza. Per il tumore della prostata il percorso è necessariamente diverso, perché la comparsa della “massa” è solo molto tardiva. Per tale ragione la sfida attuale si concentra su due obiettivi: da una parte semplificare e “alleggerire” gli esami di diagnosi precoce, dall’altro individuare in modo ancora più selettivo i pazienti che

necessitano realmente di essere trattati, evitando agli altri inutili e dolorosi percorsi terapeutici, e avvicinandoci il più possibile a quella che è definita la medicina di precisione o personalizzata.

Che ruolo ha in tutto questo il marcatore PSA?

Il PSA (Antigene Prostatico Specifico) è un enzima prodotto dalle cellule epiteliali della ghiandola prostatica e serve a fluidificare il liquido seminale. Una piccola quantità di PSA si trova sempre nel circolo sanguigno, ma suoi livelli elevati possono indicare una condizione anomala della ghiandola. E’ stato scoperto alcuni decenni fa ed è stata una rivoluzione: tra i marcatori che conosciamo è considerato quello più affidabile, anche se ricercatori vorrebbero che fosse sempre più preciso. Le ultime interpretazioni sul PSA si orientano a considerarlo come una “spia dei freni”: quando si accende nelle auto segnala che potrebbe esserci un problema elettronico o elettrico, da valutare con il proprio meccanico, cercando di evitare però approfondimenti inutili.

Il PSA ha salvato milioni di persone, oggi si cercano altri strumenti diagnostici, come il naso elettronico, che abbiano un’accuratezza ancora maggiore e possano aiutare i medici a selezionare chi deve essere curato e come.

Dottor Taverna, parliamo invece di lei: come mai ha scelto questa professione? Ha sempre voluto occuparsi di medicina e ricerca?

Da sempre ho due passioni, il tennis e la medicina: dal punto di vista professionale non ho mai pensato ad altro, mi interessava capire “come eravamo fatti” e ho dedicato tutta la vita, dagli studi in poi, a questo. Ho scelto di applicarmi alla chirurgia perché, tra i tanti ambiti della medicina, l’ho sempre considerato quello più vicino al mio carattere.

La ricerca è patrimonio di tutti: perché dovremmo esserne tutti responsabili e sostenerla concretamente?

Sono convinto che la ricerca debba essere assolutamente libera e contraddittoria, in continuo cambiamento. Dobbiamo permettere che ci siano degli studiosi “visionari” che portano avanti con metodo un’idea con la libertà di fare passi avanti pur rimanendo consapevoli di poter sbagliare e di dover cambiare percorso. Dobbiamo prenderci tutti cura della ricerca: è espressione preziosa dell’intelletto umano, ed è l’unica risorsa che abbiamo perché tecnologie e conoscenze si evolvano per migliorare sempre più la cura dei pazienti.

Basta voltarsi indietro per capire quanta strada ha percorso la ricerca in questi ultimi 30 anni: anche i filoni di ricerca che apparentemente non hanno portato risultati immediati sono stati terreno fertile per altri studiosi. Qui torniamo all’esempio del medico inglese e del fiuto del suo doberman nei confronti del melanoma: sono convinto che non ci sia mai un lavoro inutile, prima o poi torna tutto. Lo abbiamo visto in modo lampante con i vaccini Covid-19 che derivano dagli studi di Craig Mello, il biochimico statunitense che si è concentrato sullo studio del meccanismo di interferenza a RNA quando tutto il mondo era concentrato sul DNA, vincendo un Nobel per questo. Con il sostegno di tutti si può dare spazio a una ricerca libera che produce conoscenza a beneficio della salute della collettività e portarci molto lontano.