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Enciclopedia

Iperplasia prostatica benigna

L’ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (BPH o IPB) è una malattia caratterizzata dall’ingrossamento della ghiandola prostatica. L’incremento di volume della prostata è collegato a una crescita della quantità di cellule prostatiche epiteliali e stromali e alla creazione di noduli. La ghiandola ingrossata può schiacciare il canale uretrale, provocandone una parziale occlusione e disturbando la capacità di minzione.

Che cos’è l’iperplasia prostatica benigna?

L’ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (BPH o IPB), anche conosciuta come adenoma prostatico (BEP) combacia con un incremento del volume della ghiandola prostatica, frequentemente causato all’invecchiamento. Questo incremento benigno accade nell’area di transizione della prostata, schiacciando l’uretra prostatica e bloccando la fuoriuscita dell’urina. È una malattia molto tipica negli uomini: interessa il 5-10% degli uomini dopo i 40 anni di età e oltre l’80% dopo i 70 e 80 anni, però genera sintomi solamente nella metà degli interessati. Questo ingrossamento non deve provocare troppo allarme, poiché è una malattia benigna e reversibile, in cui non ci sono creazioni tumorali e infiltrazione dei tessuti. Le ricerche scientifiche non hanno riscontrato nessuna relazione fra iperplasia prostatica e il carcinoma, anche se le malattie possono coesistere.

Quali sono le cause dell’iperplasia prostatica benigna?

I primari elementi collegati alla patologia sono l’invecchiamento e i mutamenti ormonali nell’età adulta. Studi scientifici hanno provato l’esistenza di una predisposizione genetica e di familiarità.

Quali sono i sintomi dell’iperplasia prostatica benigna?

L’ingrossamento della ghiandola prostatica conduce a due tipologie di sintomi: quelli urinari di tipo occlusivo e quelli di tipo irritativo. Lo schiacciamento sul canale uretrale ostacola la minzione, per cui si hanno problemi a cominciare a urinare, c’è intermittenza di emissione del flusso, la vescica non si svuota completamente, il flusso urinario è debole e c’è sforzo nella minzione. I sintomi irritativi sono: frequenza nell’urinare (pollachiuria), nicturia, cioè una maggiore necessità di urinare durante la notte, il bisogno di svuotare la vescica (urgenza minzionale) e bruciore mentre si urina.

Come si previene l’iperplasia prostatica benigna?

La prevenzione per l’iperplasia prostatica benigna consiste in una diagnosi precoce che si ottiene facendo degli esami periodici dopo i 40-50 anni e tempestivamente quando si presentano disturbi.

È fondamentale rispettare un’alimentazione varia ed equilibrata, ricca di frutta, verdura e cereali integrali, però povera di grassi saturi (carne rossa, formaggi e fritti), evitando peperoncino, birra, insaccati, spezie, pepe, superalcolici, caffè e crostacei. È fondamentale bere abbastanza, almeno due litri di acqua al dì, e svolgere attività fisica moderata e regolare.

Diagnosi

Frequentemente per la diagnosi dell’iperplasia prostatica benigna basta una visita urologica con esplorazione rettale digitale. Per avere un quadro più completo, il dottore può voler fare altri esami, utili a controllare il flusso urinario e assicurarsi di un possibile mancato svuotamento della vescica (uroflussometria con controllo del residuo post-minzionale), stabilire il preciso volume prostatico nell’eventualità in cui si renda necessario un intervento disostruttivo (ecografia prostatica trans-rettale), identificare la dose del PSA (antigene prostatico specifico), mediante esame da laboratorio fatto su un comune prelievo di sangue.

Trattamenti

Terapia farmacologica. Medicinali specifici permettono di lenire i problemi urinari collegati all’iperplasia prostatica benigna, anche se fra gli effetti collaterali collegati al loro uso ci sono: eiaculazione retrograda (fenomeno in cui lo sperma non viene eiaculato all’esterno ma introdotto in vescica), diminuzione eccessiva della pressione arteriosa (ipotensione ortostatica), diminuzione del desiderio sessuale.

Tecniche endoscopiche: TURP. Se l’ingrossamento della prostata è tale da causare un’occlusione urinaria, la terapia farmacologica non è sufficiente e bisogna fare un intervento chirurgico disostruttivo. La chirurgia tradizionale è stata infatti sostituita dalle tecniche endoscopiche, meno invasive: l’accesso alla prostata avviene per via trans-uretrale, e si procede alla resezione della parte centrale della ghiandola (anedoma), colpevole dell’ostruzione e della sintomatologia a essa collegata.

Laser ad Olmio (HOLEP). Il passo seguente, a cominciare dagli anni Novanta, è stata l’introduzione di una nuova tecnica endoscopica mediante laser, fra cui quello ad Olmio. Questa terapia, poco invasiva, non dolorosa e ben tollerata dalla persona, si chiama HOLEP (Holmium Laser Excision of the Prostate). Previa anestesia spinale, uno strumento che contiene fibra ottica e fibra laser ad Olmio viene inserito tramite l’uretra fino alla prostata. Con la fibra laser si procede all’enucleazione dell’adenoma, che viene fatto a pezzi (morcellazione) e sospinto verso l’esterno mediante lo stesso strumento. Molti i vantaggi di questo metodo, inclusa anche la possibilità di intervenire su prostate molto voluminose (per le quali, in mancanza di laser, l’unica possibilità sarebbe il tradizionale intervento chirurgico a cielo aperto), la rimozione del catetere vescicale dopo sole 24 ore dall’intervento, una diminuzione ingente di perdite ematiche (non c’è più bisogno di trasfusioni di sangue post-operatorie). Il laser ad Olmio, infine, rende sempre possibile fare l’esame istologico del materiale rimosso, così diventa possibile identificare tempestivamente l’eventuale presenza di tumori prostatici. La persona sente un miglioramento quasi immediatamente nella minzione, mentre bruciori e tracce di sangue nelle urine tendono a sparire entro quattro settimane dall’intervento.