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Enciclopedia

Leucemia linfoblastica acuta

Che cos’è la leucemia linfoblastica acuta?

Si tratta di una neoplasia ematologica (tumore del sangue) che si sviluppa nel midollo osseo, nel sangue, nel sistema linfatico e in altri tessuti. Le leucemie sono tipicamente suddivise in acute e croniche, in base alla rapidità di progressione della patologia. Di solito, si parla di leucemia in caso di mutazioni biologiche nelle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) che causano uno sviluppo e una propagazione incontrollata delle cellule stesse. Il termine leucemia proviene dalla parola greca leucos = bianco proprio perché la patologia comincia nei globuli bianchi, le cellule addette a combattere le infezioni, che solitamente si riproducono secondo i bisogni dell’organismo.

Nelle persone colpite da leucemia, il midollo osseo genera una grossa quantità di globuli bianchi anomali, che manifestano alterazioni genetiche nel DNA e che non operano correttamente. Le ragioni di questa patologia non sono ancora conosciute con certezza, però pare che vi siano implicati sia fattori genetici che ambientali.

La leucemia acuta nasce dal midollo osseo, la base in cui risiedono i progenitori (cellule immature) delle cellule del sangue e dove queste stesse cellule arrivano a maturazione prima di “uscire” dal midollo osseo ed entrare nella circolazione sanguigna. Il termine “acuta” fa riferimento alla veloce progressione della patologia.

Quando nel midollo osseo alcune di queste cellule immature vanno incontro a serie mutazioni genetiche , iniziano a propagarsi in modo incontrollato frequentemente rendendo difficile la crescita delle cellule normali. L’apparizione dei sintomi è molto precoce, sin dalle prime fasi di inizio della patologia, tanto che in certe situazioni può risultare letale (in poche settimane o qualche mese) se non si interviene in tempi brevi con i trattamenti adatti. Nonostante questo, una buona parte di leucemie acute, principalmente in persone giovani, può essere curata e guarita.

Le leucemie acute si suddividono in due gruppi primari: la leucemia linfoblastica acuta (LLA) e la leucemia mieloide acuta (LMA). La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è la tipologia più tipica in età pediatrica, però può interessare anche gli adulti.

Quali sono i fattori di rischio per la leucemia linfoblastica acuta?

Certi fattori possono accrescere il pericolo di sviluppare la leucemia linfoblastica acuta:

  • trattamenti per il cancro, come certe tipologie di radioterapia o chemioterapia.
  • esposizione a livelli elevati di radiazioni.
  • esposizione prolungata ad alte concentrazioni di sostanze chimiche usate nell’industria, tipo il benzene e la formaldeide.
  • casi di leucemia in famiglia.

Si può prevenire?

A parte evitare l’esposizione a radiazioni o a sostanze chimiche cancerogene, non c’è una prevenzione particolare (stili di vita, abitudini alimentari) per la leucemia linfoblastica acuta, visto che non se ne conoscono con sicurezza le ragioni.

Diagnosi

Le persone colpite da leucemia linfoblastica acuta di solito notano sintomi di malessere sin dall’inizio della patologia. I sintomi preminenti più frequentemente rilevati sono astenia (stanchezza), febbre e facilità a sviluppare ematomi spontanei e dopo leggeri traumi. In certe situazioni il sanguinamento può essere uno dei primi sintomi in relazione a bassi valori di piastrine.

Per la diagnosi di leucemia linfoblastica acuta vengono sempre esaminati il sangue periferico e il midollo osseo. Fra gli esami più importanti necessari ricordano:

Esame emocromocitometrico/striscio di sangue periferico: misura la quantità di globuli bianchi, rossi e piastrine del sangue periferico (SP) e dettaglia in percentuale e valore assoluto le 5 principali tipologie di globuli bianchi (i granulociti neutrofili, eosinofili e basofili, i monociti e i linfociti), le cui frazioni più rare ed immature (blasti, pro mielociti e mielociti) possono anche venire studiati più approfonditamente al microscopio ottico.

Aspirato e Biopsia del Midollo Osseo: entrambe le procedure si fanno in tutta sicurezza inserendo un ago in un osso sul retro del bacino, nello specifico la spina iliaca postero-superiore. Con l’aspirato midollare (AM), una volta messo adeguatamente l’ago in anestesia locale, si fanno 2-4 brevi ripetute aspirazioni della durata di pochi secondi, con l’obiettivo di raccogliere campioni di midollo osseo adatti. La biopsia osteomidollare (BOM) è una procedura che prevede l’estrazione di un piccolo cilindro d’osso con un apposito ago. Si fa sempre in anestesia locale. L’esecuzione della BOM per l’inquadramento clinico-prognostico nel sospetto di LMA non sempre viene considerata necessaria dall’oncoematologo.

Puntura lombare: è la procedura con la quale si entra nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) per il prelievo di liquido cefalorachidiano (liquor) a scopo diagnostico. Mediante la puntura lombare si possono anche somministrare chemioterapici per la profilassi del SNC (vedi trattamento). Si esegue mettendo un ago fine in prossimità della zona lombare della colonna vertebrale, in anestesia locale, per giungere alla cavità liquorale.

Analisi morfologica: è l’esame al microscopio ottico delle caratteristiche morfologiche delle cellule midollari esistenti in campioni di aspirato midollare e sangue periferico. Dà dei dati basilari per la diagnosi e per la definizione della fase di patologia.

Analisi citogenetica: permette di valutare la quantità e la struttura dei cromosomi delle cellule midollari esistenti in campioni di aspirato midollare o sangue periferico. Certe peculiari mutazioni cromosomiche possono essere collegate a una prognosi favorevole o sfavorevole per la LMA.

Analisi immunofenotipica: consente di studiare le caratteristiche di superficie delle cellule leucemiche esistenti in campioni di aspirato midollare e sangue periferico, favorendo la diagnosi e, in certe situazioni, consentendo di monitorare nel tempo la reazione alle terapie.

Analisi molecolare: è adatta per esaminare la presenza, nelle cellule midollari di campioni di aspirato midollare e/o sangue periferico di “marcatori molecolari” di patologia che possono favorire l’inquadramento prognostico e consentire di controllare nel tempo la reazione alle terapie. I “marcatori molecolari” nascono da mutazioni cromosomiche o del DNA.

Nella gran parte delle situazioni, le cellule leucemiche interessano il midollo osseo e il sangue periferico. Meno spesso ci può essere interessamento dei linfonodi superficiali e profondi e un incremento delle misure della milza, talvolta anche del sistema nervoso centrale o dei testicoli (“santuari di malattia”). Quest’ultime due sedi necessitano sempre di un’attento controllo sia al momento della diagnosi che durante il trattamento.

Si distinguono due principali sottotipi di LLA: la leucemia linfoblastica acuta a linfociti B (LLA-B) e la leucemia linfoblastica acuta a linfociti T (LLA-T). La distinzione tra linfociti B e T si fa con l’analisi immunofenotipica che specifica le caratteristiche di superficie dei linfociti malati. Ci sono poi diverse varietà di LLA-B ed LLA-T che si stabiliscono con le analisi su midollo osseo e sangue periferico. Per la LLA è basilare lo studio delle mutazioni cromosomiche e molecolari per decidere la categoria di pericolo (elevato, intermedio e basso) e per il controllo della reazione alle terapie.

Una menzione a parte va fatta per le LLA che hanno una specifica mutazione cromosomica conosciuta come cromosoma Phildelphia (Ph). Circa il 20% delle ALL dell’adulto sono Ph positive. Questa mutazione viene caratterizzata dallo scambio reciproco di materiale cromosomico tra il cromosoma 9 ed il cromosoma 22 che dà inizio a un cromosoma 22 più piccolo della norma. Questa mutazione cromosomica dà una prognosi molto sfavorevole.

Però, queste persone possono beneficiare della recente terapia con gli inibitori delle tirosin-chinasi, in combinazione con la chemioterapia tradizionale. Questa associazione consente di avere esiti molto promettenti che paiono tradursi in un sostanziale cambio della prognosi in senso positivo.

Trattamenti

La quasi totalità delle persone con leucemia linfoblastica acuta deve venire sottoposta a un trattamento. Il piano terapeutico varia a seconda dei diversi fattori fra cui:

  • età della persona e le condizioni cliniche
  • sottotipo di LLA
  • presenza di patologia nel sistema nervoso centrale
  • presenza di serie infezioni alla diagnosi
  • storia di precedente mielodisplasia o di precedenti terapie radio-chemioterapiche

Nella gran parte delle situazioni la terapia di scelta è rappresentato dalla chemioterapia secondo schemi inseriti nell’ambito di protocolli clinici condivisi da molti centri di Ematologia con esperienza nell’ambito della cura delle leucemie acute. Il trattamento si distingue in intensiva e conservativa.

Quella intensiva molto spesso combina almeno due chemioterapici, con l’obiettivo di avere la remissione totale di patologia. Quella conservativa ha lo scopo di svolgere un controllo temporaneo della progressione della patologia senza cercare la remissione completa e prevede di solito l’utilizzo di un solo chemioterapico. La terapia della leucemia linfoblastica acuta prevede:

Chemioterapia

Ha l’obiettivo di di eliminare le cellule leucemiche esistenti nel midollo osseo e nel sangue così da consentire alle cellule immature normali residue del midollo di svilupparsi e maturare per generare cellule normali del sangue. Nella terapia intensiva i chemioterapici vengono dati per via endovenosa, nella terapia conservativa possono essere somministrati anche per via orale. La chemioterapia intensiva viene somministrata in regime di ricovero, durante il quale la persona viene sottoposto a un severo controllo dei valori dell’emocromo che giungono a livelli molto bassi sia di globuli bianchi, sia di rossi e piastrine (fase di aplasia). La fase di aplasia può complicarsi con infezioni talvolta serie che vogliono un complesso trattamento antibiotica. La fase iniziale della chemioterapia intensiva viene detta chemioterapia di induzione invece le fasi successive chemioterapia di consolidamento e/o di mantenimento. Alla fine della chemioterapia di induzione e in certe situazioni anche delle terapie di consolidamento/mantenimento, vengono reiterate certe analisi sul midollo osseo e sul sangue periferico per definire la reazione al trattamento.

Profilassi del Sistema Nervoso Centrale

Le cellule leucemiche di LLA-B e LLA-T possono talvolta annidarsi e crescere dentro al Sistema Nervoso Centrale (SNC), più frequentemente vicino alle pareti di rivestimento chiamate meningi. Per questa ragione tutte le persone colpite da leucemia linfoblastica acuta devono ricevere una terapia mirata e specifica (profilassi specifica e mirata per il SNC) con l’utilizzo di chemioterapici o, più raramente, di radioterapia (radioterapia craniospinale). La somministrazione di chemioterapici si fa periodicamente durante la terapia di induzione e di consolidamento mediante la puntura lombare, consentendo così la giusta esposizione del Sistema Nervoso Centrale ai medicinali antileucemici.

Catetere venoso

Visto il bisogno di usare molto spesso la via di somministrazione endovenosa, soprattutto nel trattamento intensivo, si mette un catetere venoso centrale (CVC) in una vena del collo o sotto la clavicola. Il catetere è di solito “tunnellizzato” cioè una sua piccola porzione decorre sottocute prima di entrare nella vena succlavia, al fine di assicurare una prolungata permanenza, una pronta accessibilità agli operatori e una più bassa incidenza di infezioni. Grazie al catetere venoso centrale i prelievi di sangue, le trasfusioni di sangue e l’infusione di chemioterapici e antibiotici sono facilitati.

Trasfusioni

Dopo la chemioterapia, i valori dell’emocromo calano frequentemente a livelli molto bassi prima che le cellule normali del sangue inizino nuovamente a crescere. In questa fase è molto frequente che le persone debbano ricevere a trasfusioni di globuli rossi e di piastrine. In Humanitas l’Unità Operativa di Ematologia ha maturato un’adatta esperienza nella gestione delle complicazioni della fase di aplasia post-chemioterapica nella cura delle leucemie acute.

Risposta al trattamento

Se la chemioterapia di induzione ha successo, la persona ha la remissione totale della patologia. I valori dell’emocromo ritornano nella normalità (o quasi), la quantità di cellule leucemiche all’analisi morfologica del midollo osseo è <5% e la persona è di solito capace di lasciare l’ospedale. I trattamenti di consolidamento/mantenimento hanno lo scopo di conservare la remissione totale il più a lungo possibile, e fino al trapianto per coloro che possono essere avviati a questa procedura. La durata della chemioterapia e l’indicazione al trapianto dipendono dalla tipologia di leucemia, dalla sua categoria di pericolo e dalle condizioni della persona.

Trapianto di cellule staminali emopoietiche

Fino ai 65 anni di età, le persone colpite da LLA possono essere candidati al trapianto di midollo.

Il trapianto di midollo autologo (cioè usando le proprie cellule staminali emopoietiche) trova scarse indicazioni nella LLA.

Il trapianto allogenico (cioè usando le cellule staminali emopoietiche di un donatore sano) trova piena indicazione per tutte le leucemie acute a rischio elevato che ottengono la remissione totale. La decisione di candidare una persona con leucemia al trapianto autologo o allogenico è in relazione alla tipologia di leucemia, alla sua categoria di pericolo, all’età della persona, alle sue condizioni cliniche e si accompagna sempre ad un approfondito colloquio con i dottori dell’Unità Trapianto su eventuali pericoli e benefici.

Le leucemie a buona prognosi non vengono mai candidate al trapianto, a meno che durante il trattamento si abbia una ricaduta della patologia o la reazione venga ritenuta non soddisfacente o non completa. Il trapianto allogenico rimane la sola arma capace di offrire una speranza di guarigione anche in leucemie in fase avanzata o refrattarie alle terapie convenzionali.

Humanitas ha maturato un’adatta esperienza in ambito trapiantologico, è accreditato per il trapianto da donatore non consanguineo e offre la possibilità del trapianto da fonti alternative, tipo da cordone ombelicale e donatore familiare aploidentico o parzialmente compatibile.