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Enciclopedia

Linfoma non Hodgkin

Che cos’è un linfoma non Hodgkin?

Si tratta di un tumore che si origina nel sistema linfatico e cresce dai linfociti, cellule esistenti nel sangue e nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo, midollo osseo, tonsille e altre piccole zone dell’organismo. Invece di ostacolare le patologie, i linfociti (linfociti B o linfociti T) si accatastano nei linfonodi e in altri organi. Il linfoma non Hodgkin ha un impatto di 5 volte maggiore confronto al linfoma di Hodgkin, e il 95% delle persone interessate da questa patologia sono adulti. Sono state trovate almeno 30 forme differenti di questa tipologia di tumore.

I linfomi possono originarsi da tutte le tipologie di linfociti (B, T e NK): i più tipici nel nostro Paese sono i linfomi di derivazione dai linfociti B. Le ragioni di questa tipologia di tumore non sono ancora del tutto chiarite. Si sa che all’origine si trova un’anormale generazione di linfociti. In situazioni non patologiche, questi seguono un normale ciclo di vita: i più vecchi decedono mentre l’organismo ne genera di nuovi per soppiantarli. Nel linfoma non Hodgkin, invece, i vecchi linfociti non decedono, ma continuano ad accrescere e ad accatastarsi dentro ai linfonodi o ad altri tessuti, che si ingrandiscono o mutano nella loro struttura.

Quali sono i fattori di rischio per il linfoma non Hodgkin?

La ragione specifica di questa tipologia di linfoma non è ancora nota, però certi elementi che possono incrementare il pericolo di ammalarsi sono:

  • condizioni di immunodepressione (per esempio dopo un trapianto d’organo o a infezione da HIV).
  • certe infezioni virali, fra cui HIV, epatite C e virus di Epstein-Barr (responsabile della mononucleosi infettiva).
  • agenti chimici esistenti per esempio negli insetticidi.
  • età (principalmente dopo i 60 anni).

Come si può prevenire il linfoma non hodgkin?

Visto che si tratta di una patologia rara, sfortunatamente non si conosce nessuna maniera per prevenire l’insorgenza del linfoma non Hodgkin, se non evitando l’esposizione ai fattori di rischio tipici a tutte le tipologie di cancro.

Diagnosi

Adulti e bambini con sospetta diagnosi di linfoma non Hodgkin vengono prima di tutto sottoposti ad un accurato esame obiettivo: l’ingrossamento non dolorante dei linfonodi di collo, ascelle o inguine è frequentemente il solo segno di linfoma non Hodgkin agli stadi iniziali. Altri sintomi possono comprendere febbre, sudorazione notturna, spossatezza, calo di peso, dolore o gonfiore addominale, prurito continuo e dolore toracico, tosse o problemi respiratori, in base alla sede di insorgenza della patologia.

Durante la visita il dottore studia misure e consistenza di tutti i linfonodi, mutati e normali. Vengono quindi fatte le analisi del sangue e delle urine per escludere un’infezione o un’altra patologia che possano essere la ragione dell’ingrossamento dei linfonodi.

Il primo passo per la diagnosi di linfoma non Hodgkin è la biopsia, parziale o di tutto il linfonodo. Il tessuto prelevato viene analizzato dall’anatomopatologo, che oltre a dare la diagnosi di linfoma ne decide il sottogruppo di appartenenza: generalmente un linfoma può svilupparsi adagio (linfoma indolente o “a basso grado di malignità”) o velocemente (linfoma aggressivo o “ad alto grado di malignità”).

C’è poi il piccolo sottogruppo dei linfomi “acuti” o molto aggressivi, assimilabili per la loro rapidità di sviluppo alle leucemie acute. Il linfoma non Hodgkin è classificato in circa 30 tipologie differenti, sulla base di molti fattori, fra cui la derivazione del tumore dai linfociti B o dai linfociti T, le misure e le alterazioni genetiche dei linfociti, le modalità di aggregazione delle cellule tumorali e il loro tasso di sviluppo.

Poi si prescrivono radiografie, TAC, spesso PET e qualche volte RMN, con l’obiettivo di valutare l’estensione della patologia ai diversi organi e tessuti. A questi esami si aggiunge la biopsia osteomidollare, adatta per determinare la presenza di cellule malate a livello del midollo osseo. Alla fine di queste indagini al linfoma viene dato lo stadio: da I a IV a seconda della quantità di sedi infiltrate, alla presenza di localizzazioni in organi non linfonodali, e il suffisso B o A alla presenza o meno di segni sistemici (febbre, sudorazione, calo ponderale).

Trattamenti

Gli specialisti di Humanitas hanno un’ampia esperienza nella cura della patologia con le metodiche più avanzate di chemioterapia, terapie biologiche, radioterapia e trapianto di cellule staminali periferiche o di midollo osseo, oltre che con cure innovative tipo i trattamenti biologici e la radioimmunoterapia.

La scelta del trattamento cambia in base alla tipologia e allo stadio del linfoma non-Hodgkin, all’età della persona e al suo stato di salute generale. In quanto centro di riferimento nazionale per la ricerca sui linfomi, Humanitas è leader nello sviluppo di nuovi trattamenti per il linfoma non Hodgkin. Vengono fatti molti protocolli di ricerca clinica che possono rivelarsi adatti per le persone che non reagiscono ai trattamenti standard.

Malattia in stadio iniziale (I-II)

La persona colpita da linfoma indolente in stadio iniziale (cioè con patologia da una parte del diaframma) viene solitamente sottoposta a radioterapia con l’applicazione di radiazioni in dosi adeguate alla distruzione delle cellule neoplastiche. La persona affetta da linfoma aggressivo in stadio iniziale, invece, a meno di gravi comorbidità, viene sottoposto ad una breve chemioterapia (3 cicli) collegata ad anticorpo monoclonale (rituximab) se la patologia è derivata dai linfociti B, e viene poi sottoposta a radioterapia di consolidamento sulla/e sede/i di patologia.

Malattia in stadio avanzato (III-IV)

La persona colpita da linfoma indolente in stadio avanzato non sempre ha bisogno di una terapia immediata: se la patologia non mostra segni clinici di veloce sviluppo, si può rimandarne l’inizio controllando regolarmente il paziente. In caso contrario si fanno da 6 a 8 cicli chemioterapia, sempre collegata a rituximab se il linfoma è di derivazione B-linfocitaria. La persona colpita da linfoma aggressivo a uno stadio avanzato viene sottoposta a 6-8 cicli di chemioterapia (sempre collegata a rituximab per i linfomi B) da cominciare in tempi abbastanza veloci. Nella decisione della chemioterapia si usano delle combinazioni di medicinali, dati mediante iniezione endovenosa, per eliminare le cellule tumorali che si sviluppano velocemente. Esistono anche medicinali da prendere per bocca, che però vengono oggi riservati a pazienti anziani o con altre malattie concomitanti che rendono troppo pericolosa la somministrazione della terapia endovenosa. I linfomi aggressivi possono insorgere anche primitivamente in aree extranodali uniche, per esempio il cervello, e in questa situazione richiedere terapie chemioterapiche dedicate e radioterapia aggiuntiva.

Recidiva

La terapia standard della recidiva prevede, nelle persone fino a 65-70 anni di età e in buone condizioni, la chemioterapia a dosi elevate con il trapianto (o meglio il supporto) di cellule staminali autologhe, solitamente periferiche come descritto nella scheda “Linfoma di Hodgkin”. In presenza di fallimento anche di questo trattamento, si prende in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile o da donatore volontario.

Protocolli di ricerca clinica

Humanitas è un “Comprehensive Cancer Center” (Centro Oncologico), dove una delle attività è il disegno e lo sviluppo di protocolli di ricerca clinica. Si tratta dell’uso controllato di nuove terapie non ancora approvate ufficialmente. I protocolli di ricerca clinica hanno l’obiettivo di decidere la sicurezza e l’efficacia di un trattamento: possono non essere una cura, però allungare la vita o migliorarne la qualità.

Questi protocolli possono prevedere l’uso di nuove molecole di diversa origine, tipo chemioterapici o terapie biologiche, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare comune di una precisa tipologia di neoplasia (medicinali “intelligenti”). Per avere più informazioni e comprendere quali protocolli possono essere adeguati alla propria situazione, è bene che la persona si rivolga al proprio dottore di fiducia.

Radioimmunoterapia

Si tratta di medicinali che uniscono un anticorpo monoclonale specifico per il linfoma (di derivazione B linfocitaria) con isotopi radioattivi. Questi composti si legano alle cellule tumorali, mediante l’anticorpo che le riconosce, e poi le eliminano tramite la componente radioattiva.

La radioimmunoterapia di solito viene tollerata bene, e gli effetti collaterali sono molto rari, tanto che in certe situazioni viene offerta a persone che non possono ricevere terapie aggressive, purché siano controllate regolarmente per i valori dell’emocromo. In Italia è disponibile una sola tipologia di radioimmunoconiugati (ibritumomab tiuxetano: combinazione di anticorpo anti-CD20 rituximab con ittrio90), la cui somministrazione è approvata per i linfomi indolenti follicolari in recidiva o in prima linea come consolidamento dopo chemioterapia.