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Enciclopedia

Analisi citogenetica

Cosa si intende per studio citogenetico?

L’analisi citogenetica (o mappa cromosomica o cariotipo) è lo studio dei cromosomi delle cellule. Nei cromosomi sono contenuti i geni costituiti da DNA, la molecola in cui sono presenti tutte le informazioni necessarie per la “costruzione” dell’individuo e il funzionamento dell’organismo.

 

Nelle cellule degli esseri umani ci sono 46 cromosomi: 23 cromosomi provengono dal padre con lo spermatozoo e 23 dalla madre con la cellula uovo. Spermatozoi e cellule uovo sono cellule germinali e sono le uniche a contenere solo 23 cromosomi. Se lo spermatozoo porta il cromosoma X nascerà una femmina, se porta il cromosoma Y nascerà un maschio. Il cariotipo di una femmina normale sarà quindi 46, XX mentre quello di un maschio 46, XY. Per lo studio dei cromosomi è necessario ricorrere a tecniche di coltura in quanto è possibile visualizzarli solo durante la divisione cellulare.

 

 

Per cosa viene utilizzato?

Lo studio citogenetico serve a verificare che non ci siano alterazioni del numero e/o della struttura dei cromosomi che possono essere responsabili di malattie caratterizzate da ritardo mentale (es: Sindrome di Down), infertilità/sterilità (es: Sindromi di Turner e Klinefelter), ritardo psicomotorio e del linguaggio, della crescita e dello sviluppo. Anche l’abortività precoce ripetuta può essere conseguenza di un errore cromosomico in uno dei genitori (3-5% dei casi).

 

 

Quando risulta opportuno eseguire lo studio citogenetico?

Citogenetica prenatale

Si esegue in gravidanze nelle quali si riscontri un aumentato rischio di anomalie cromosomiche del feto: età materna uguale o maggiore ai 35 anni (compiuti prima della nascita del figlio), figlio affetto da errore di numero dei cromosomi, genitori portatori di riarrangiamenti strutturali che non mostrano segni clinici, genitori con errori di numero dei cromosomi del sesso (es: 47,XXX; 47,XXY ), anomalie del feto evidenziate in ecografia, indicazioni derivanti da test biochimici (es: bi-test), aborti spontanei ripetuti. Attraverso il prelievo transaddominale si può effettuare una villocentesi durante il primo trimestre di gravidanza (9-12 settimane) oppure un’amniocentesi durante il secondo trimestre (15-18 settimane). Per la villocentesi si prelevano cellule della placenta (villi coriali) che hanno la stessa origine (e quindi lo stesso patrimonio genetico) di quelle fetali, mentre per l’amniocentesi si studiano cellule fetali che si trovano nel liquido amniotico (amniociti).

 

Citogenetica post-natale

Lo studio del cariotipo viene eseguito in pazienti con sospetta sindrome cromosomica, genitori e familiari di soggetti con anomalie cromosomiche, genitori di soggetti malformati o con sospetta sindrome cromosomica deceduti senza diagnosi, qualora si riscontri ritardo mentale e/o difetti congeniti, ritardo dell’accrescimento, sui neonati nati morti, coppie con aborti spontanei ripetuti, infertilità maschile, femmine con amenorrea primaria o secondaria (assenza o interruzione del ciclo mestruale).

 

Citogenetica su materiale abortivo

Circa il 15-20% di tutte le gravidanze riconosciute esita in un aborto spontaneo e più del 50% ha un alterato numero e/o struttura dei cromosomi che è causa dell’interruzione della gravidanza. Lo studio citogenetico dei tessuti abortivi si rivela di fondamentale importanza per comprendere la causa dell’interruzione della gravidanza, e di supporto alla coppia (in quanto nella maggior parte dei casi l’errore cromosomico è puramente casuale e non comporta un rischio aumentato che l’evento si ripeta).

 

Citogenetica dei tumori

L’analisi citogenetica può essere effettuata anche per studiare i tumori, sia ematologici (es. leucemie) che solidi (es. polmone, mammella, fegato, vescica). Certi riarrangiamenti cromosomici sono “tumore specifici”, per cui consentono una diagnosi corretta a fronte di un sospetto o dubbio clinico. Ad esempio, il riscontro del cromosoma Philadelphia in un aspirato midollare di un paziente con sospetta leucemia, consente la diagnosi di una leucemia mieloide cronica; oppure la presenza della traslocazione t(X;18) in una coltura cellulare allestita da biopsia di tumore solido, consente la diagnosi di un Sarcoma Sinoviale.

Nuove tecnologie: Ibridazione in Situ Fluorescente (FISH)

Lo sviluppo di tecniche sofisticate definite di “ Citogenetica Molecolare”, quali ad esempio l’Ibridazione In Situ Fluorescente (FISH), consente di effettuare studi citogenetici più approfonditi in quanto rende possibile la localizzazione di una specifica sequenza di DNA su preparati fissati di cromosomi, nuclei interfasici e sezioni di tessuto, ottenuti da qualsiasi tipo di materiale biologico (sangue, biopsie, liquido amniotico, gameti), sia esso fresco, crioconservato o paraffinato. La tecnica FISH si basa sulla proprietà del DNA di denaturarsi in modo reversibile (apertura della doppia elica) e prevede il legame tra un frammento di DNA specifico per la regione di interesse – marcato con composti fluorescenti (sonda) – e la sequenza di DNA complementare del preparato che è stato fissato e montato su un vetrino portaoggetti: la regione cromosomica di interesse si rivela così facilmente individuabile ad un microscopio a fluorescenza.

 

La FISH costituisce un fondamentale complemento della citogenetica tradizionale poiché è caratterizzata da un maggiore potere di risoluzione: permette infatti di caratterizzare anomalie cromosomiche di numero e di struttura non definibili mediante le tecniche di citogenetica classica e di identificare riarrangiamenti criptici, non visibili neppure dopo bandeggio ad alta risoluzione. La FISH non viene applicata di routine all’analisi del cariotipo, ma solo nei casi selezionati in base a specifici sospetti diagnostici o per approfondire determinate anomalie citogenetiche.

 

Una delle applicazioni più recenti è in campo oncologico: in molti casi infatti, soprattutto per le colture di tumori solidi, non si ottiene crescita e divisione cellulare quindi non è possibile evidenziare i cromosomi ed analizzarli. Inoltre, il livello di risoluzione dello studio condotto con la citogenetica tradizionale, non consente l’identificazione di anomalie che potrebbero riguardare un solo gene.

 

A partire dal 2000 sono state messe a punto sonde di DNA capaci di riconoscere anomalie specifiche per esempio del tumore della vescica per il quale si impiegano quattro sonde che riconoscono i cromosomi 3, 7, 17 e nove marcate con fluorocromi diversi (Multicolor FISH).

 

Il Laboratorio di Citogenetica dell’Istituto Clinico Humanitas è un centro di riferimento per lo studio del tumore della vescica. Dopo uno studio condotto per verificare l’efficacia di questo test, è stata introdotta l’analisi UROVYSION® nella pratica clinica, in collaborazione con l’Unità Operativa di Urologia. Il test non è invasivo e consente l’individuazione in 48 ore di cellule tumorali ottenute da un semplice campione di urine. Il test ha un elevato potere predittivo: ciò significa che la FISH identifica anomalie cromosomiche tipiche del tumore prima che ci sia evidenza di malattia all’indagine cistoscopica o positività di altri marcatori diagnostici quali le CTM (cellule tumorali maligne). Nel 2001 la Food and Drug Administration (FDA) americana ha approvato il test per il monitoraggio della ricorrenza di malattia in pazienti che avessero già avuto una diagnosi di tumore e fossero stati sottoposti ad intervento di rimozione e/o terapia con BCG, e nel 2004 per la diagnosi in pazienti con ematuria.

 

Con la FISH si possono anche ottenere informazioni riguardo alla terapia più appropriata per un certo tipo di tumore in un determinato paziente (Targeted Therapy). Si sa per esempio che pazienti con tumore della mammella che abbiano una FISH positiva, per l’amplificazione di un gene chiamato HER-2/neu, la cui proteina viene esposta sulla membrana cellulare del tumore, rispondono alla terapia con un particolare farmaco, trastuzumab, un anticorpo che si lega al recettore neutralizzandolo (terapia immunologica). Il test viene chiamato PATHVYSION® ed è approvato dalla FDA. La FISH può anche essere utilizzata per studiare l’amplificazione di un altro gene noto come EGFR, nel tumore del polmone e del colon. Anche in questo caso è possibile utilizzare farmaci diversi a seconda che nel tumore del paziente si riscontri o meno l’amplificazione del gene. In questi casi non si tratta di terapia che impiega anticorpi ma piccole molecole che inibiscono la divisione cellulare (terapia biologica).

 

L’applicazione della FISH apre nuove frontiere anche per altri tipi di tumore come il melanoma, dove la diagnosi differenziale con il nevo displastico si rivela particolarmente difficile se basata solamente su criteri morfologici.

 

Data l’alta sensibilità, specificità e potere anticipatorio, la tecnica FISH risulta particolarmente efficace nello studio dei tumori sia ematologici che solidi. In particolare, non solo ha valore diagnostico/prognostico ma si rivela fondamentale nella scelta terapeutica basata sul profilo genomico del tumore.