Ritratto di scienza, parliamo di algoritmi e terapie mirate con Laura Mannarino
Ricercatrice dal 2015, Laura Mannarino studia neoplasie come il liposarcoma, il mesotelioma e il tumore ovarico, all’interno del Laboratorio di Farmacologia Antitumorale diretto dal Professor Maurizio D’Incalci, presso l’Humanitas Research Hospital di Rozzano. La dottoressa Mannarino non si occupa[lm1] di analisi e ricerca di laboratorio così come la maggioranza delle persone non addette al settore immaginano questo lavoro: al sequenziamento dei geni e delle loro mutazioni affianca l’uso di algoritmi per estrapolare informazioni significative dalle grandi quantità di dati raccolti.
Il suo campo di indagine, infatti, è quello della bioinformatica, una branca di studi che racchiude le competenze della biologia e dell’informatica e che impiega specialisti in grado di usare le nuove tecnologie (compresa l’AI) per capire sempre meglio e ad un livello di dettaglio sempre più avanzato, tra le altre cose, le caratteristiche dei tumori e dell’ambiente tumorale. Obiettivo principale: sviluppare terapie mirate e strategie di cura per le neoplasie oggi ancora difficili da trattare, come il cancro ovarico (link articolo Marchini).
Qual è il tuo percorso di formazione?
Dopo la laurea in ingegneria biomedica al Politecnico di Milano ho concluso la magistrale con una tesi in ambito oncologico, grazie a un tirocinio presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, sotto la guida del Professor D’Incalci con cui ancora oggi collaboro. Discussa la tesi ho continuato a lavorare nello stesso laboratorio per mettere a frutto il mio know-how in bioinformatica applicata a progetti di ricerca oncologica.
Fin dai primi anni dell’Università sono sempre stata affascinata dalla possibilità di fondere l’attività ingegneristica e computazionale all’ambito medicale, e quando ho scoperto la bioinformatica e la possibilità di usare di algoritmi e software per l’analisi dei dati applicati all’ambito clinico ho sentito di aver trovato il mio posto.
Grazie alla vincita del premio Young Researcher Mobility Program di Fondazione Berlucchi ho anche avuto l’occasione di lavorare per un periodo breve ma molto intenso presso il Cancer Research UK (Cambridge, UK) sotto la supervisione e la guida del Professor Florian Markowetz, specializzato in oncologia computazionale. Una materia che si pone l’obiettivo di sviluppare nuovi approcci matematici e computazionali per l’analisi e l’interpretazione di dati medici e biologici in campo oncologico.
Quando nasce in te la passione per l’oncologia?
Si tratta di un’attrazione che sento dentro di me fin da quando ero bambina. Una mia cara amica e compagna di giochi è mancata a causa di quello che una volta veniva comunemente chiamato “un brutto male” e quella perdita mi ha colpito nel profondo. Ho deciso molto presto che avrei concentrato i miei studi sulle materie scientifiche e ho sempre pensato che avrei voluto specializzarmi per dare il mio personale contributo alla salute di tutti noi. Arrivato il momento di scegliere una facoltà universitaria, ho intrapreso gli studi in ingegneria biomedica. Un momento di svolta di questo percorso è stata la tesi magistrale all’Istituto Mario Negri. Proprio lì, in qualità di ingegnere, ho iniziato ad occuparmi di ricerca oncologica e sono diventata un bioinformatico[lm2] .
Qual è il progetto a cui stai lavorando ora?
Abbiamo da poco concluso un primo studio per valutare l’efficacia del Pap test come strumento diagnostico, con lo scopo di riuscire a rilevare la presenza di cellule cancerose nella cavità ovarica con largo anticipo, anche 10 anni prima. Se l’uso di questo strumento dovesse confermarsi affidabile, si tratterebbe di una svolta molto importante. Il cancro ovarico è un tumore silenzioso che, quando scoperto in stadio avanzato, diventa molto difficile da trattare. Il Pap test è un esame a basso costo a cui le donne già si sottopongono per il monitoraggio delle infezioni da Papilloma virus e permetterebbe quindi di fare prevenzione a tappeto senza particolari difficoltà.
Al momento abbiamo condotto uno studio retrospettivo, sostenuto anche da Fondazione Humanitas per la Ricerca grazie a fondi raccolti nell’ambito della campagna Pink Union, su un numero limitato di donne affette da tumore ovarico. L’obiettivo per il prossimo futuro è duplice. Da una parte quello di validare l’uso del Pap test per l’identificazione di cellule cancerose nella cavità ovarica su donne non ancora diagnosticate, grazie a uno studio prospettico. Dall’altra quello di includere un numero molto più grande di donne già diagnosticate, coinvolgendo i principali Centri di Ricerca Oncologica italiani in uno studio retrospettivo su larga scala.
Qual è stato il tuo compito all’interno del progetto su Pap test e tumore ovarico?
Il mio compito, come bioinformatico è stato quello di sviluppare degli algoritmi per l’analisi biomolecolare, finalizzati a rilevare e tipizzare le alterazioni tumorali eventualmente già presenti nel DNA estratto dal Pap test. Uno degli aspetti interessanti di questo progetto, come spesso accade in Ricerca, è che abbiamo adattato tecniche e test già conosciuti per uno scopo diagnostico nuovo. Il Pap test è uno strumento di indagine più che consolidato per rilevare la presenza di lesioni della cervice uterina che precedono l’insorgenza di un tumore o lesioni tumorali già presenti. Il nostro team ha pensato di usarlo per identificare la presenza di un tipo diverso di alterazioni.
Per quanto riguarda gli algoritmi ho fatto qualcosa di simile, a livello concettuale. Ho infatti adattato parte del codice che viene usato per analizzare i frammenti di DNA nei test di screening neonatale con lo scopo di rivelare la presenza di DNA alterato legato al cancro ovarico.
Oltre all’aspetto diagnostico, l’uso di questi algoritmi di analisi è molto utile per capire con quale tumore abbiamo a che fare e capire quale potrebbe essere il protocollo di trattamento più efficace. Parlando sempre di tumore ovarico (ma questo vale anche per altre neoplasie), non tutte le donne rispondono allo stesso modo alle cure: sapere in anticipo chi potrebbe andare incontro a recidiva, ad esempio, è fondamentale per migliorare la prognosi e sviluppare terapie mirate.
Perché è importante fare Ricerca e sostenerla?
La Ricerca è una parte molto importante della mia vita. Come ho raccontato ho sempre desiderato dare il mio contributo per migliorare la salute di tutti e fare Ricerca è la strada che ho trovato per rispondere a questo mio bisogno. Essere una bioinformatica che si occupa di oncologia è per me un desiderio realizzato.
La Ricerca, per continuare a progredire, ha bisogno di tanti specialisti e specializzazioni diverse, tempo e risorse: è necessario un supporto continuo da parte del maggior numero di persone possibile per raggiungere risultati significativi. Pensiamo ad esempio al tumore ovarico: rilevare la malattia allo stadio I la rende curabile con buona prognosi nell’80% dei casi. Mentre quando viene diagnosticata agli stadi III e IV le percentuali sono ribaltate, e l’80% delle donne va incontro a prognosi infausta. La Ricerca può fare moltissimo per migliorare in modo concreto e diretto la vita e la salute di moltissime donne, mamme, sorelle, figlie, amiche.