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Diminuire la predisposizione alle malattie croniche nelle persone anziane: i passi avanti della ricerca scientifica.

Scopriamo di più sulla ricerca “Combattere la ‘sindrome di fragilità omeostatica’ dell’invecchiamento” guidata dal professor Antonio Sica nell’ambito del progetto Argento Vivo di Fondazione Humanitas per la Ricerca, nato per sostenere la ricerca di nuove terapie dedicate alla terza età e garantire a un numero crescente di persone avanti negli anni qualità di vita e benessere.

Professor Sica di cosa occupa questa importante ricerca?

Di invecchiamento, che rappresenta il maggior rischio per lo sviluppo di malattie croniche specifiche dell’anziano.

Invecchiando andiamo incontro a alterazioni fisiopatologiche e complicanze metaboliche che instaurano una sindrome subclinica di “fragilità omeostatica”.

Diventiamo fisiologicamente più deboli. Cosa accade in sintesi? Rispondiamo più debolmente a stress di varia natura, ad esempio le infezioni, siamo più soggetti a sviluppo di tumori, siamo meno in grado rigenerare i nostri tessuti in risposta a traumi.

Perdiamo quindi robustezza dei nostri meccanismi di difesa e omeostatici e ciò ci rende più suscettibili a sviluppare patologie croniche. Ciò avviene in parte perché le nostre cellule vanno incontro a un processo di senescenza, perdendo progressivamente capacità funzionali.

La senescenza è un processo involutivo caratterizzato da una lenta e progressiva decadenza funzionale: in poche parole le cellule perdono gradualmente la capacità di proliferare e vanno incontro a morte. Di conseguenza, l’architettura funzionale dei nostri tessuti e organi viene gradualmente compromessa.

Molti studi stanno indagando i meccanismi alla base della senescenza cellulare e il loro ruolo in varie patologie.

Quindi si tratta di un processo che ha necessariamente una fine

È così. Le cellule hanno una sorta di patrimonio rigenerativo da spendere. Man mano che tale patrimonio viene speso, attraverso successive divisioni cellulari, i cromosomi, sede del nostro DNA, diventano meno robusti e si sfaldano.

Ciò avviene a causa dell’accorciamento dei “telomeri”. Questi ultimi sono sequenze di DNA poste alle estremità dei cromosomi e rappresentano un vero e proprio orologio biologico della cellula. Quando una cellula si divide i suoi telomeri si accorciano, destabilizzando i cromosomi. Oltre a un certo limite di accorciamento dei telomeri la cellula va incontro a morte.

Noi studiamo il sistema immunitario e anche quest’ultimo è destinato a invecchiare: c’è un progressivo declino delle capacità immunitarie.

Il sistema immunitario è costituito da due compartimenti, definiti immunità innata e adattativa: con l’invecchiamento perdiamo la capacità di fronteggiare stress immunologici di varia natura.

Ad esempio, come evidenziato in questi giorni, gli anziani producono meno anticorpi contro il virus Sars-Cov-2 o in risposta alla vaccinazione.

Una serie di condizioni portano a un aumento della fragilità negli anziani

Invecchiando si innesca un processo di infiammazione cronica, definito inflammaging: la fragilità del sistema immunitario è associata a maggiore infiammazione; non siamo più in grado di spegnerla quando non più necessaria.

L’infiammazione è un sistema di difesa fondamentale: un microbo attiva il sistema immunitario che genera infiammazione, cioè condizioni citotossiche che hanno lo scopo di eliminarlo. Questa è la prima fase della risposta infiammatoria, che si instaura velocemente e che deve poi risolversi per evitare danni ai nostri tessuti.

A questa fase acuta deve quindi seguire una fase di risoluzione della risposta infiammatoria. Negli anziani spesso questa fase di risoluzione è difettosa e l’infiammazione si protrae cronicamente, ad esempio tramite la produzione di radicali dell’ossigeno, che danneggiano i nostri tessuti.

Questa condizione ci predispone allo sviluppo di malattie tipiche dell’anziano, quali le neurodegenerative, cardiovascolari, i tumori, il diabete, etc.

Negli anziani sono stati misurati i livelli di una serie di mediatori dell’infiammazione, come le citochine infiammatorie, che spesso risultano più elevati. Ciò è indice di persistenza di infiammazione cronica o inflammaging.

Quindi diciamo che la somma fra infiammazione cronica e indebolimento delle difese immunitarie predispone a una serie di patologie

Ancora un esempio: come detto, i radicali dell’ossigeno sono utili per difenderci dalle infezioni, ma se li produciamo continuamente danneggiamo i nostri stessi tessuti.

Tutti noi siamo dotati di sistemi antiossidanti per limitare i possibili danni dell’infiammazione ossidativa. Questi sistemi, spesso di natura enzimatica, vengono persi con l’invecchiamento.

I nutrizionisti che si occupano di terza età o i geriatri consigliano giustamente di assumere nutrienti non enzimatici antiossidanti, come le vitamine A, C, E ed i polifenoli (flavonoidi, procianidine), per contrastare questo stato ossidativo.

Potremmo definire la vita come “una continua lotta contro l’ossidazione”: noi siamo un sistema termodinamico aperto e dobbiamo fare i conti con l’ossidazione, quindi dobbiamo avere sistemi antiossidanti efficaci per preservare i nostri tessuti.

Questo è il razionale che ispira il nostro progetto, ma c’è ancora un’altra premessa importante da fare.

Si stima che alcune patologie si manifestino sintomatologicamente quando il danno ha raggiunto il 70% delle funzioni d’organo. Ciò è dimostrato.

Ad esempio, la nefrectomia monolaterale, o rimozione chirurgica di un solo rene, così come l’epatectomia (resezioni epatiche di una porzione di fegato) ci garantiscono comunque il mantenimento di parametri fisiologici normali, sopra una certa soglia che caratterizza il danno funzionale d’organo.

Lo stesso vale per l’invecchiamento, un fenomeno che probabilmente inizia subito dopo il picco di crescita, durante l’età adulta: cominciamo presto e gradualmente a perdere riserve funzionali.

L’approccio attuale è di intervenire terapeuticamente quando si manifestano i sintomi: quando il paziente si reca dal medico ha già perso una quota notevole di attività funzionale e ha già significativamente eroso le sue riserve funzionali.

Noi vogliamo guardare alla fase asintomatica della malattia, per capire come eventi genetici ed epigenetici portano progressivamente alla perdita di capacità funzionali di un organo. E’ una fase che dura verosimilmente svariati anni.

Quindi è questo il punto centrale della vostra ricerca

Stiamo studiando gli assetti genetici ed epigenetici in soggetti giovani e anziani per identificare marcatori precoci di senescenza e identificare i soggetti predisposti a fragilità: in prospettiva, questo studio potrebbe anche identificare bersagli farmacologici per rallentare la senescenza, correggere gli stati di fragilità e irrobustire fisiologicamente l’individuo, permettendogli un invecchiamento più sereno e sano.

Questo è l’obiettivo del progetto: lo sforzo è molto grande perché valutiamo gli eventi genetici ma soprattutto epigenetici. Questi ultimi in particolare sono rappresentati da modificazioni chimiche a carico del DNA o delle sue proteine associate (istoni), non riferibili quindi a variazioni del genotipo (mutazioni del DNA).

Si tratta di valutare quindi una sorta di “impronta” molecolare sul genotipo, che determina il grado di attivazione di programmi cellulari.

Nuove evidenze indicano che lo stato epigenetico delle nostre cellule sia determinato dagli stress immunologici che subiamo nel corso della nostra vita, come le infezioni. Si desume quindi che ognuno di noi ha un proprio assetto epigenetico e che ciò influenzi le modalità di invecchiamento, così come le nostre capacità immunitarie e metaboliche.

Una difficoltà maggiore per i medici è capire perché alcuni pazienti rispondono a una terapia, mentre altri no. Queste differenze individuali possono essere influenzate dall’epigenetica del paziente.

Professore, perché è così importante l’enzima NAMPT?

Perché ha un ruolo fondamentale nel controllo del metabolismo energetico. Insieme alle Sirtuine, una classe di enzimi coinvolti nelle regolazioni epigenetiche, tiene sotto controllo l’infiammazione.

Sebbene non se ne conoscano i meccanismi, sappiamo che NAMPT si spegne con l’invecchiamento: viene così a indebolirsi un sistema che controlla la risoluzione della risposta infiammatoria, favorendo l’infiammazione cronica.

Avete iniziato a studiare questo fenomeno specificatamente sull’osteoartrite

È una patologia tipica dell’anziano, in Italia interessa più di 5 milioni di persone, è una malattia invalidante perché impedisce di muoversi, è dolorosa: diminuendo la mobilità vengono favorite altre patologie, quelle cardiovascolari, il diabete, etc.

L’osteoartrite ha una base infiammatoria molto importante: abbiamo reclutato circa 150 pazienti con osteartrite, in collaborazione con l’Unità Operativa Reumatologia ed Immunologia Clinica di Humanitas, diretta dal professor Selmi.

Abbiamo quindi analizzato il profilo infiammatorio di questi pazienti e riscontrato livelli più elevati di citochine infiammatorie circolanti. Abbiamo inoltre studiato l’espressione del sistema NAMPT rilevando delle alterazioni correlate all’età.

Lavoriamo ora per capire se il silenziamento di NAMPT dipende da modificazioni epigenetiche e se si potrà intervenire in modo preventivo per rallentare lo spegnimento di sistemi antiossidanti come NAMPT. Per farlo avremo bisogno di nuovi farmaci epigenetici, capaci di interferire in modo selettivo su modificazioni chimiche del DNA o su proteine del nucleo.

Cosa si aspetta di trovare durante questa ricerca?

Innanzitutto di definire il ruolo del sistema NAMPT nell’infiammazione degli anziani: associare quindi i livelli di infiammazione alla severità delle patologie, in questo caso l’osteoartrite.

Dopo aver identificato una relazione causale tra patologia e attività del sistema NAMPT, vorremmo capire meglio come precursori metabolici dell’attività enzimatica di NAMPT, alcuni dei quali si possono trovare nella dieta, possono regolare i livelli di infiammazione. A tal riguardo, pensiamo che

La nutraceutica, parola che nasce dall’unione di “nutrizione” e “farmaceutica”, possa avere un ruolo importante per irrobustire alcune vie metaboliche essenziali, soprattutto negli anziani.

L’alimentazione dell’anziano è un tema difficilissimo

Gli anziani sono spesso carenti di “carburanti” di vie metaboliche energetiche importanti e carenti di ioni importanti. Frequentemente non assorbono in modo adeguato nutrienti e vitamine.

Ciò concorre a indebolire la robustezza dei sistemi fisiologici, suggerendo che una corretta nutrizione, che integri queste carenze, debba essere sempre più veicolata come una vera terapia di supporto.

Una dieta appropriata e uno stile di vita corretto possono aiutare a controllare la senescenza.