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Parkinson e malattie neurodegenerative. Vivere meglio grazie alla ricerca scientifica.

Il 26 novembre 2021 è la Giornata nazionale della malattia di Parkinson, una delle due patologie neurodegenerative più diffuse in Italia e nel mondo: solo nel nostro paese colpisce ogni anno circa 300.000 persone. Che decorso ha la malattia? Che vita si prospetta ai malati? Dove si sta orientando la ricerca? Le risposte del professor Alberto Albanese, docente di Neurologia e responsabile dell’Unità operativa Neurologia dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano).

Cosa sono le malattie neurodegenerative

Sono definite così una serie di malattie neurologiche che provocano un danneggiamento progressivo dei neuroni (che sono cellule nervose responsabili della funzionalità cerebrale), compromettendo prima la comunicazione tra le cellule, poi la struttura cellulare e alla fine portano alla loro morte. Le cellule nervose non si replicano e non possono essere sostituite, per questo il danno è irreversibile.

Focus sul morbo di Parkinson

Nel caso del Morbo di Parkinson la progressiva morte delle cellule nervose avviene nell’area del sistema nervoso che controlla i movimenti di tutto il corpo dando origine ai sintomi tipici: tremori, rigidità, lentezza nei movimenti. Può colpire successivamente anche i nervi che controllano gli organi interni e le funzioni cognitive e, in fase avanzata, portare alla demenza (nel 30% dei casi). La malattia compare solitamente durante la terza età e colpisce prevalentemente gli uomini anche se oggi, grazie ai passi avanti compiuti dalla diagnosi precoce, la malattia si individua più precocemente e si è abbassata l’età dei malati: uno su 4 ha meno di 50 anni.

Quali sono le cause

Le cause sono molteplici: anche se è una malattia molto studiata, comprendere con precisione le cause è ancora oggetto di ricerca. Secondo gli studi già effettuati il 10% dei casi dipenderebbe da fattori genetici, il 10% da fattori ambientali specifici (esposizione a manganese, esposizione alla tossina MTPT), nel restante 80% dei casi la malattia dipende da un mix di fattori genetici e ambientali.

Professor Albanese, ci racconti meglio a che punto è la ricerca scientifica Humanitas sulle malattie neurologiche.

Le linee principali di ricerca sono due: la ricerca conoscitiva, che si sta concentrando sulla genetica. Stiamo lavorando per identificare le predisposizioni del nostro DNA a sviluppare o a non sviluppare malattie neurologiche e a proteggerci da queste patologie. La seconda linea di ricerca è quella terapeutica. Siamo investendo molto in terapie innovative sia farmacologiche che non farmacologiche, cioè chirurgiche. È attivo anche un progetto innovativo sulla riabilitazione con il Ministero delle Università, per la precisione tele-riabilitativo: vogliamo cercare di fare riabilitazione a distanza, dato che Covid-19 ha ridotto la mobilità delle persone.

Avete già dei risultati? Dati interessanti da queste ricerche?

Dal punto di vista della ricerca genetica abbiamo già tantissimi dati interessanti effettivamente utilizzabili per predire la malattia ma anche per scoprire nuove combinazioni di geni che possono facilitare o non facilitare lo sviluppo di malattie di rilevanza neurologica. Ma attenzione: essere portatori di una predisposizione non deve essere interpretato come un indicatore certo di ammalarsi. Ci sono geni che si esprimono e geni che non si esprimono, quindi in realtà la questione è molto articolata perché l’altra metà della storia è l’ambiente, e qui per noi ricercatori è molto più difficile investigare.

Noi siamo una sintesi di questi due mondi, giusto?

Sì, ereditiamo in parte il patrimonio di DNA dai nostri genitori e in parte dalla casualità, durante il processo di meiosi (una forma specializzata di divisione cellulare): da questo incastro nasce ciò che siamo. Ma l’altra metà è la nostra vita, i nostri contatti, le nostre esperienze, come ci alimentiamo, che attività fisica facciamo, quali batteri, quali microorganismi incontriamo. Ovviamente ricostruire gli incontri ambientali in una singola persona è sostanzialmente impossibile, quindi noi ricercatori stiamo lavorando molto sulla genetica, che comunque ci spiega le cose, ci aiuta a dare consigli ai pazienti, ci permette una leggibilità degli eventi tra generazione.

Le malattie neurodegenerative cambiano un po’ la natura delle persone, quasi le trasformano in altre persone, purtroppo. Questo può essere rallentato con le terapie allo studio?

Terapie ben calibrate fin dai primi segnali della malattia cercano di ottimizzarne la fase iniziale, la cui durata è molto variabile, per consentire il massimo delle potenzialità in una fase di fruibilità piena o sostanzialmente piena della vita. Così le persone continuano a essere ciò che sono sempre state il più a lungo possibile. Usiamo terapie farmacologiche ma anche esercizi di tipo cognitivo che aiutano a esercitare le capacità e che, nel caso della memoria, sono molto utili. Nella malattia di Parkinson riusciamo quasi a garantire una vita normale: è ovvio che una persona affetta da Parkinson faccia più fatica rispetto a un sano. Aiutare i nostri pazienti a condurre una buona vita è l’obiettivo che medici e ricercatori ci diamo.

C’è qualche ambito di ricerca particolare che vuole segnalarci?

Stiamo lavorando sul microbiota. Del resto conviviamo con miliardi di microorganismi che risiedono principalmente nel nostro intestino e che sono nostri compagni per tutta la nostra vita. Il microbiota influisce molto anche sul sistema nervoso sia per le sostanze che produce sia attraverso il sistema immunitario: molte delle alterazioni neurologiche sono associate alla immunità. Alzheimer, Parkinson hanno una componente infiammatoria molto importante. In più noi viviamo di input che ci arrivano anche dagli organi interni: quindi il benessere dell’intestino fornisce una serie di informazioni riflesse che arrivano al sistema nervoso centrale e che contribuiscono al nostro stare bene anche mentale. Abbiamo tanti fronti aperti di ricerca con uno stesso obiettivo: garantire una vita migliore a chi si ammala, e capire prima e meglio perché si sviluppano le malattie neurodegenerative come il Parkison per cambiare il futuro di migliaia di persone.