Dall’analisi delle cellule immunitarie nuove terapie per il tumore alla prostata
Grazie all’analisi delle cellule immunitarie presenti nelle vicinanze del tumore sarà possibile mettere a punto protocolli di cura più efficaci per il cancro alla prostata e scoprire in tempo utile se il paziente è un buon candidato per la terapia immunologica oppure no. Sarà anche possibile agire in modo da rimuovere o ridurre gli ostacoli all’uso dei farmaci immunoterapici.
Il progetto che ha permesso di arrivare a queste conclusioni, dal titolo “Manipolazione del microambiente immunologico del tumore per la terapia del cancro” è stato guidato dalla Dott.ssa Diletta Di Mitri dell’Unità Tumor Microenvironment di Humanitas e finanziato da Fondazione Humanitas per la Ricerca e AIRC.
Tra i risultati più importanti del progetto c’è l’identificazione di una sottofamiglia di cellule immunitarie che aiutano il tumore a progredire e l’identificazione di un meccanismo che “spegne” un altro tipo di cellule, le Natural Killer, che dovrebbero invece combattere la proliferazione della massa tumorale.
Il tumore manipola il sistema immunitario
I tumori sono in grado di modificare il comportamento del sistema immunitario, o meglio di alcune famiglie di cellule immunitarie che dovrebbero proteggere l’organismo e invece in determinate situazioni addirittura supportano il tumore nella sua crescita.
Identificare e individuare i meccanismi con i quali i tumori “modellano” il microambiente immunologico del paziente a favore del proprio sviluppo e della progressione della malattia è molto importante. Permette infatti di comprendere meglio “le strategie” che il tumore mette in atto per resistere alle difese dell’organismo e alle terapie immunologiche. Inoltre, fornisce indicazioni utili a riaddestrare il sistema immunitario del paziente per reagire con maggiore efficacia contro il cancro.
Il ruolo delle cellule immunitarie “vicine” al tumore
Ricercatrici e ricercatori Humanitas hanno messo in luce che le cellule immunitarie che vengono richiamate dalla presenza di un tumore sono importanti regolatori della crescita tumorale e possono sia promuovere sia limitare il suo sviluppo. La progressione del tumore, in genere, è accompagnata dalla soppressione del sistema immunitario. Capire meglio quali sono le tipologie di cellule immunitarie presenti nel microambiente che circonda un tumore e come si comportano, è il primo passo per mettere a punto strategie di immunoterapia più efficaci.
Microambiente tumorale e cancro alla prostata
Che cos’è il microambiente tumorale? Il tumore ha la capacità di sviluppare una rete complessa composta da numerosi tipi di cellule del sistema immunitario, appartenenti a popolazioni cellulari differenti, che formano appunto il microambiente tumorale.
Non sono ancora del tutto note le cause del tumore alla prostata, un carcinoma che colpisce la ghiandola maschile che ha il compito principale di produrre e immagazzinare il liquido seminale. Sappiamo però che alla base vi è una mutazione nel DNA delle cellule, che causa una proliferazione anomala delle stesse, il cui accumulo forma il tumore.
Le prime fasi del progetto
I ricercatori dell’Unità Tumor Microenvironment di Humanitas hanno analizzato la composizione immunitaria di tumori prostatici in varie fasi di progressione, da quella benigna a quella metastatica.
«Le nostre analisi hanno evidenziato una presenza importante di una specifica famiglia di cellule immunologiche, rilevate in tutti gli stadi del tumore ma molto abbondanti nel tumore metastatico — spiega la Dott.ssa Di Mitri —. Abbiamo quindi scoperto che una sottofamiglia di macrofagi che accumulano grassi acquisisce, in presenza della massa tumorale, delle caratteristiche che supportano lo sviluppo del tumore. Queste cellule aiutano il tumore a uscire dall’organo e potenzialmente possono aiutarlo a invadere altri tessuti, formando metastasi. In un secondo momento abbiamo verificato che il tumore, se questi macrofagi vengono eliminati, progredisce meno. La popolazione di cellule può essere colpita selettivamente grazie a un farmaco, un anticorpo monoclonale, che era stato già descritto in altri progetti di ricerca anche se non ancora approvato per uso clinico. Il risultato di questa prima parte di lavoro ci ha permesso quindi di confermare la presenza di questi macrofagi nel cancro prostatico umano e il fatto che queste cellule sono associate a una peggiore progressione della malattia».
Non solo macrofagi ma anche cellule Natural Killer
Gli studi condotti dal gruppo guidato da Diletta Di Mitri hanno portato anche ad approfondire le conoscenze su un’altra popolazione di cellule immunologiche, chiamate linfociti Natural Killer L(o cellule NK). Generalmente questi linfociti sono presenti nel microambiente tumorale per combattere la malattia, ma ricercatrici e ricercatori hanno scoperto che in presenza del cancro alla prostata le cellule NK risultavano inattive o funzionavano male.
La ragione è legata al malfunzionamento di un processo, chiamato autofagia, fondamentale perché le cellule facciano il loro lavoro. «Partendo da queste evidenze, che avevamo bisogno di confermare, abbiamo realizzato esperimenti in vitro e in vivo che hanno dimostrato che quando la cellula natural killer è a contatto col tumore, il processo autofagico di questa cellula si spegne o funziona poco — racconta la Dott.ssa Di Mitri —. Di conseguenza, i linfociti NK non possono più agire contro il tumore».
Rendere le cellule NK più efficaci
La buona notizia è che si può risolvere il problema modificando le cellule NK in modo che funzionino anche in presenza del tumore alla prostata, attraverso un farmaco o direttamente mediante ingegnerizzazione genetica. Queste cellule “potenziate” possono poi essere infuse nel paziente. È stato dimostrato (con trial pre-clinici, in laboratorio) che quando l’autofagia è attiva e funziona bene le cellule NK sono in grado di combattere il tumore in maniera molto più efficiente. Di Mitri e colleghi hanno anche identificato il meccanismo esatto che si attiva quando la cellula NK “vede” il tumore e che porta allo spegnimento della funzione di autofagia. Un risultato importantissimo.
Nuovi strumenti per trattare il tumore alla prostata
I percorsi terapeutici per il cancro della prostata variano dalla radioterapia all’intervento di asportazione della prostata (prostatectomia radicale), all’ormonoterapia e alla chemioterapia. La scelta del trattamento dipende da vari fattori come l’estensione del tumore, la sua eventuale diffusione extra-prostatica, l’età del paziente e il suo stato di salute generale.
Oggi, per chi è affetto da cancro alla prostata, c’è un alleato in più, l’immunoterapia, che si propone di utilizzare il sistema immunitario del paziente per “insegnargli” ad attaccare le cellule tumorali.
Su molti pazienti, però, l’immunoterapia non dà i risultati sperati: conoscere a fondo i meccanismi di cui abbiamo parlato in questo articolo permette di mettere a punto protocolli immunoterapici che hanno maggiore possibilità di riuscita, sono più mirati e anche meno pesanti in termini di effetti collaterali.
Quali sviluppi futuri?
Questo progetto è iniziato il 1 ottobre 2017 e si è concluso a fine 2022. Si tratta di percorsi di ricerca spesso lunghi e complessi che possono però portare a progressi molto importanti per la salute di tutti.
Nel prossimo futuro, la Dott.ssa Diletta Di Mitri vorrebbe attivare una sperimentazione clinica che abbia come oggetto l’uso di cellule NK potenziate per essere più efficaci nella lotta contro il tumore alla prostata. E parallelamente indagare se il meccanismo della popolazione di macrofagi che accumulano i lipidi e aiutano il tumore a progredire è presente anche in altre forme tumorali, come il melanoma o il cancro ovarico.
Grazie al tuo sostegno sarà possibile mettere a punto protocolli di cura più efficaci per il cancro alla prostata