Covid-19, 5 fattori influenzano la risposta innata del sistema immunitario
Quando ci ammaliamo di Covid-19, 5 fattori concorrono a determinare la reazione del nostro sistema immunitario innato, la prima linea difensiva presente in tutti noi, fin dalla nascita. Questi macro fattori, identificati grazie al progetto di Ricerca “Targeting acute immune responses and aberrant inflammation to improve the clinical outcome of elderly SARS-Cov-2 infected patients” sono preziosi per comprendere meglio perché alcune persone vanno incontro a ospedalizzazione e persino alla morte (soprattutto prima dell’avvento dei vaccini) quando si ammalano di Covid-19.
Decorsi altamente variabili
La progressione della malattia Covid-19 è estremamente variabile e difficilmente prevedibile. Si passa da decorsi clinici completamente asintomatici, con pazienti che guariscono senza alcun intervento del medico, a situazioni critiche che richiedono ospedalizzazione e ricorso alla terapia intensiva, fino alle insufficienze respiratorie e/o cardiovascolari anche mortali.
La possibilità di una prognosi peggiore contraddistingue in modo particolare la popolazione anziana, specialmente in presenza di altre patologie.
I meccanismi alla base di questo decorso severo della malattia Covid-19 sono ancora in larga parte sconosciuti ma osservazioni e dati clinici e sperimentali suggeriscono la presenza di risposte diverse del sistema immunitario innato nelle primissime fasi dell’infezione.
L’importanza di predire la prognosi
Il progetto “Targeting acute immune responses and aberrant inflammation to improve the clinical outcome of elderly SARS-Cov-2 infected patients”, affidato al Prof. Domenico Mavilio, group leader del Laboratorio di Immunologia Clinica e Sperimentale, nasce nel 2020 per meglio comprendere la risposta dell’immunità innata contro il virus SARS-CoV-2, allo scopo di riuscire a predire con accuratezza la prognosi e sviluppare trattamenti precoci efficaci.
I ricercatori di Humanitas, grazie al sostegno di Fondazione Humanitas per la Ricerca, Cariplo e Ministero della Salute sono riusciti appunto a individuare (come abbiamo già accennato) 5 macro fattori correlati alla risposta lieve e severa, costruendo un database di dati clinici e genetici molto importante per comprendere meglio la reazione al virus SARS-CoV-2.
Avere la possibilità di prevedere il decorso della malattia è fondamentale ancora oggi, anche se abbiamo la possibilità di vaccinarci, perché ci dà informazioni importanti su una malattia ancora in parte sconosciuta, aiuta a curare i pazienti che nonostante il vaccino presentano sintomi severi e più in generale amplia le nostre conoscenze sul sistema immunitario.
Cos’è il sistema immunitario innato
Che cos’è il sistema immunitario innato, potenzialmente responsabile della grande variabilità di risposta all’infezione da SARS-CoV-2? L’immunità innata, detta anche aspecifica, è un’immunità non specializzata presente sin dalla nascita, quando il sistema immunitario dell’individuo non è ancora sviluppato.
Entra in azione anche se non siamo immunizzati (o vaccinati) nei confronti di un virus, perché non lo abbiamo mai incontrato prima. Si tratta del sistema di difesa biologicamente più antico, comune a tutti gli organismi viventi composti da più cellule, inclusi insetti e piante.
Fanno parte del sistema immunitario innato tutta una serie di cellule, come i linfociti NK (Natural killer), i mastociti, gli eosinofili, i basofili, i macrofagi, i neutrofili e le cellule dendritiche. E tutte queste cellule hanno spesso un ruolo anche nell’immunità specifica.
Studiare i meccanismi di risposta alla malattia
«Abbiamo reclutato sia pazienti ricoverati presso l’ospedale Humanitas di Rozzano sia pazienti dell’Ospedale Sacco di Milano, che ha collaborato al progetto, per un totale di 300 pazienti con età, sesso e decorso clinico diverso – ha spiegato il prof. Domenico Mavilio –. Tutti i pazienti hanno richiesto ospedalizzazione per infezione da SARS-CoV-2, con decorso moderato o severo. Grazie a tecniche di biologia cellulare e molecolare, che permettono di studiare le caratteristiche e il comportamento delle cellule in determinate situazioni, abbiamo ottenuto informazioni importanti sulla risposta dell’immunità innata al coronavirus». I risultati hanno mostrato, ad esempio, che le cellule NK e le cellule T di tipo γδ possono essere cruciali nella risposta contro SARS-CoV-2. E che la pronta attivazione di queste cellule durante le prime fasi dell’infezione acuta può migliorare l’esito per il paziente.
5 fattori e un database
Cento dei pazienti coinvolti nel progetto, in diverse fasi del decorso della malattia, sono stati reclutati per analisi ancora più elaborate, valutando tutto il loro DNA. Grazie al lavoro dei ricercatori specializzati in bioinformatica di Humanitas e dello Human Technopole, decine di milioni di trascrizioni del DNA ottenute da questi pazienti sono state accuratamente analizzate. «Partendo da questi dati abbiamo creato degli algoritmi basati su intelligenza artificiale che hanno permesso di identificare 5 macro fattori, legati ad alcuni geni dell’apparato cardiovascolare e del sistema immunitario, che sono connessi all’esito della malattia (decorso asintomatico piuttosto che con sintomi severi). Si tratta di un’analisi molto complessa, perché questi fattori mettono in relazione l’espressione di alcuni geni con la possibilità di reagire in modo severo al SARS-CoV-2 prendendo in considerazione anche tutta una serie di altri elementi come l’età, una pregressa polmonite, l’assunzione di terapie anticoagulanti eccetera. La cosa più importante è che abbiamo raccolto informazioni preziose sul funzionamento dell’immunità innata e che ora questo database ci consentirà di fare ulteriori indagini» sottolinea Mavilio.
Il progetto incentrato sui vaccini
A questo primo progetto si è poi associata una seconda linea di Ricerca incentrata sullo studio degli effetti dei vaccini e sulla permanenza nel corpo dei fattori immunologici che proteggono dall’infezione, sempre sotto la guida del Prof. Mavilio. I soggetti vaccinati sono stati seguiti nel tempo per comprendere come si comportano alcune cellule del sistema immunitario, le stesse analizzate nel primo progetto e cioè cellule Natural Killer, cellule T (in particolare la cosiddetta componente cellulare T atipica) e linfociti T di tipo γδ. Queste cellule che si attivano nella risposta innata, infatti, hanno un ruolo anche nell’immunità acquisita grazie al vaccino, proteggendo dalle nuove infezioni virali. L’obiettivo era quello di capire quanto a lungo permane la protezione.
Al momento è provato che l’attivazione delle cellule grazie al vaccino continua a proteggere, a partire dalla seconda dose, per sei mesi.
Un progetto europeo per studiare long Covid ed effetti sul cervello
Come spesso accade quando si fa Ricerca, i due progetti descritti in questo articolo hanno aperto la strada ad un terzo, il cui obiettivo è duplice. Primo definire quali sono i deficit cognitivi o psicologici che rimangono in alcuni pazienti nel momento in cui l’infezione sembra risolta e il tampone è negativo. Si parla in questo caso di long Covid e più precisamente di neuro-Covid.
Secondo, cercare di identificare i meccanismi molecolari alla base di questi sintomi. Si tratta di un progetto europeo iniziato nel 2023 che durerà complessivamente 5 anni e che coinvolge diversi ospedali e centri di Ricerca italiani e non. Humanitas sta lavorando al progetto come capofila del gruppo lombardo insieme a decine di realtà di nove paesi diversi.
Grazie al tuo sostegno sarà possibile cercare di identificare i meccanismi molecolari alla base dei sintomi del long Covid e nel neuro-Covid.
