Facebook Twitter WhatsApp LinkedIn Telegram

Progetti di ricerca

Nanoparticelle a caccia di cellule tumorali
Tumori

Nanoparticelle a caccia di cellule tumorali per portare i farmaci lì dove servono

Le nanoparticelle possono letteralmente andare a caccia di cellule tumorali: riescono a raggiungere e identificare i tessuti malati e possono distruggerli se vengono “caricate” con un farmaco adeguato. Nel laboratorio di Immunologia Molecolare di Humanitas, guidato dal prof. Antonio Sica, dal 2020 è in corso un progetto dedicato allo sviluppo e allo studio di nanoparticelle in grado di colpire e distruggere le cellule tumorali. Si chiama “Nanotechnology hunting the tumor” e ha ricevuto il sostegno di Fondazione Humanitas per la Ricerca e dell’associazione Medicine Rocks.

Nuove strategie di cura

Ad oggi è stato raggiunto un doppio risultato in Humanitas, anche se la strada è ancora molto lunga: sono stati messi a punto due nuovi farmaci potenzialmente efficaci contro diversi tipi di cancro (in fase di brevetto) ed è stata confermata la loro stabilità quando vengono caricati in nanoparticelle a “formulazione lipidica”. Attualmente esistono sul mercato diverse nanoparticelle approvate sia per la diagnosi sia per la terapia di alcuni tumori, mentre altre tipologie sono in fase di validazione.

Il team di Sica, in collaborazione con l’Università di Milano e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, sta mettendo a punto nuove formulazioni di nanoparticelle per ottimizzarne la stabilità, la capacità di carico del farmaco e soprattutto la specificità rispetto il target: il tumore.

«I benefici dell’uso delle nanoparticelle sono principalmente due: il farmaco è rilasciato in gran parte nelle cellule tumorali, consentendo di somministrare una maggior concentrazione di farmaco nella lesione tumorale e diminuendo così la tossicità verso i tessuti sani – spiega Antonio Sica –. Nonostante si siano ottenuti molti progressi nell’ottimizzazione delle nanoparticelle per protocolli terapeutici, però, la loro selettività d’azione risulta ancora non ottimale. Questo è uno degli aspetti su cui stiamo lavorando».

Perché investire tempo e risorse nelle nanoparticelle?

I trattamenti antitumorali prevedono spesso il ricorso alla chirurgia associata a radio o chemioterapia, prima dell’intervento come terapia neoadiuvante, oppure in un secondo momento come terapia adiuvante. Questi protocolli di cura generano frequentemente tossicità e effetti collaterali intollerabili per i pazienti, oltre ad avere limiti nella loro specificità d’azione. «Tutti questi limiti potranno essere superati grazie all’uso di nuove strategie di delivery del farmaco, in grado di migliorarne la selettività d’azione, con ricadute positive sulla risposta terapeutica e sulla qualità di vita del paziente», sottolinea Sica.

Nel laboratorio di Immunologia Molecolare di Humanitas sono state condotte diverse ricerche sulle nanoparticelle. In particolare, una linea di sviluppo si è incentrata sull’utilizzo delle nanoparticelle come vettori farmacologici nel trattamento del cancro al polmone. Altre ricerche sono in corso per il trattamento del cancro del colon retto e alcune forme di sarcomi dei tessuti molli, notoriamente più frequenti nell’infanzia e nell’adolescenza.

L’applicazione delle nanoparticelle è però un approccio trasversale, che può potenzialmente essere utilizzato per il trattamento di svariate tipologie di cancro. In particolare, il team di Sica si sta concentrando sulla possibilità di usare farmaci veicolati da nanoparticelle per il trattamento di tumori che ad oggi non dispongono ancora di protocolli di cura di grande efficacia, come il cancro del pancreas o quello ovarico.

Cosa sono esattamente le nanoparticelle?

La ricerca sulle nanoparticelle inizia negli anni ‘80. Possiamo immaginarle come minuscoli robot-guerrieri, con dimensioni inferiori a 100 nanometri (un nanometro è un miliardesimo di un metro), che una volta funzionalizzate, cioè coniugate ad anticorpi specifici per il bersaglio di antigeni tumorali, sono in grado di individuare le cellule tumorali, rilasciando all’interno delle stesse il farmaco antitumorale.

Il grandissimo vantaggio delle nanoparticelle è quindi la loro capacità di veicolare un’attività farmacologica selettivamente alle cellule tumorali, massimizzandone l’efficacia terapeutica.

Questa caratteristica delle nanoparticelle, come abbiamo anticipato, può essere sfruttata per trattare patologie neoplastiche o per fare diagnosi. Nel secondo caso, le nanoparticelle vengono caricate con sostanze definite “traccianti”, visualizzabili cioè attraverso la risonanza magnetica o altre tecniche di diagnostica per immagini.

La composizione delle particelle è un fattore importante e le sostanze utilizzate per la loro formulazione non devono essere riconosciute come estranee dal paziente, al fine di evitare possibili risposte immunitarie del paziente che ne penalizzerebbero l’attività antitumorale.

A che punto siamo con lo sviluppo delle nanoparticelle?

Dopo una prima fase di ricerca sulle nanoparticelle con caratteristiche biomimetiche, costituite cioè da uno scheletro di silice rivestito di una membrana cellulare, il gruppo di Antonio Sica in collaborazione con i ricercatori del Mario Negri sta sviluppando altre tipologie di nanoparticelle, al fine di ottimizzare la loro capacità di carico farmacologico e di trasporto selettivo ai tessuti patologici.

«I nostri studi sulle componenti immunitarie dei pazienti con cancro del polmone ci hanno permesso di generare un ampio database che raccoglie profili genomici e trascrittomici che sono rappresentativi della relazione funzionale fra tumore e risposta immunitaria. Ciò ci ha consentito di identificare molecole che riteniamo giochino un ruolo cruciale nella crescita tumorale. Intendiamo ora ottimizzare i protocolli che utilizzano nanoparticelle per bersagliare questi nuovi bersagli a fini terapeutici», conclude Sica.