Parkinson e decadimento cognitivo, studiare i meccanismi alla base dei sintomi
Qual è il legame tra Parkinson e decadimento cognitivo? In alcuni pazienti, ma non in tutti, nelle fasi avanzate del Parkinson, accanto ai sintomi motori compaiono deficit cognitivi. Possono essere lievi e identificabili solo con test funzionali specifici oppure più seri ed evidenti. La letteratura parla di una percentuale di pazienti che presentano questi sintomi non motori compresa tra il 20 e il 40%.
In particolare, sembrano essere più comuni i deficit delle funzioni esecutive, che riguardano ad esempio la perdita di memoria di lavoro, una maggiore difficoltà a concentrarsi, la compromissione della capacità di inibire o pianificare i propri comportamenti.
Il progetto “Biomarcatori autonomici, genetici e di neuroimmagini nella demenza associata alla Malattia di Parkinson: valutazione longitudinale di una coorte di pazienti parkinsoniani” ha l’obiettivo di ampliare le nostre conoscenze sulla genesi del decadimento cognitivo legato alle fasi avanzate della malattia di Parkinson.
L’indagine è in corso grazie al sostegno di Cariplo e di Fondazione Humanitas per la Ricerca, sotto la guida del professor Alberto Albanese, Senior Consultat di Neurologia dell’IRCSS Istituto Clinico Humanitas.
Analisi e studio dei pazienti
Il progetto coinvolge soggetti affetti da Parkinson con età all’esordio della malattia compresa tra i 40 e i 70 anni e durata della malattia compresa tra i 3 e i 5 anni. Capire meglio i meccanismi legati ai sintomi non motori del Parkinson potrebbe aiutare a sviluppare soluzioni preventive o terapeutiche più efficaci rispetto a quelle attuali.
L’indagine ha una durata complessiva di quattro anni (si concluderà a fine settembre 2025), durante i quali vengono analizzati alcuni parametri clinici e biologici, che ricercatrici e ricercatori andranno poi a mettere in relazione tra loro (se una relazione esiste).
«Nella fase iniziale dello studio abbiamo proposto ai pazienti arruolati diversi accertamenti: un esame neurologico, una batteria di test neuropsicologici, test autonomici cioè che riguardano il sistema nervoso autonomo, una scintigrafia cardiaca, un prelievo ematico per analisi genetiche correlate alla malattia di Parkinson e un esame PET cerebrale – ha spiegato il prof. Albanese –. Ad ogni paziente abbiamo anche chiesto di effettuare visite neurologiche e valutazioni neuropsicologiche annuali. Al termine dei quattro anni di controlli verranno analizzati i risultati dello studio e comunicheremo ai partecipanti le informazioni rilevanti per ciascuno».
L’ipotesi di una relazione tra disautonomia e sintomi non motori
Il progetto di ricerca parte dall’ipotesi che le alterazioni del sistema nervoso autonomo possano essere predittive di un successivo sviluppo di sintomi di decadimento cognitivo in chi ha il Parkinson.
«L’idea è quella di verificare se i pazienti con Malattia di Parkinson che presentano disautonomia neurovegetativa e quindi problematiche legate al sistema nervoso autonomo sviluppano (o meno), in uno stadio più avanzato della malattia, sintomi di decadimento cognitivo» ha sottolineato Albanese.
Il sistema nervoso autonomo è quello che controlla, ad esempio, la pressione arteriosa piuttosto che l’attività delle ghiandole o le funzioni del cuore. Grazie alla batteria di esami fatti all’inizio del percorso di monitoraggio dei pazienti arruolati, i ricercatori hanno identificato chi presenta alterazioni significative e potranno poi verificare se queste caratteristiche sono predittive per lo sviluppo di sintomi non motori nel Parkinson, oppure se non sembra esserci correlazione.
L’importanza dei dati
Non sappiamo ancora cosa racconteranno i dati una volta che saranno completi e che ricercatrici e ricercatori li avranno analizzati, ma la quantità di informazioni raccolte è e sarà comunque molto preziosa.
Indipendentemente dai risultati finali (che racconteremo su queste pagine non appena saranno disponibili) quello che emergerà dallo studio sarà comunque interessante e potenzialmente utile per mettere a punto nuovi protocolli terapeutici o per indirizzare future ricerche volte a comprendere meglio i meccanismi alla base della Malattia di Parkinson.
Una coorte di pazienti per studiare Parkinson e decadimento cognitivo
Una casistica tanto ricca e realizzata con la massima cura, che raccoglie dati facilmente paragonabili perché tutte le persone coinvolte sono state seguite nello stesso modo, permette in un certo senso di “catalogare” i pazienti e fare approfondimenti tematici sulla malattia di Parkinson.
Il progetto di Ricerca sta raccogliendo 150 casi di studio molto completi, realizzati in modo approfondito sia per quanto riguarda la PET (che verrà eseguita nuovamente alla fine dei 4 anni), sia sotto il profilo del sistema nervoso autonomo, delle funzioni cognitive e della profilazione genetica. Inoltre, sono state indagate eventuali mutazioni geniche legate al Parkinson. Infine, i pazienti vengono seguiti per 4 anni, che è un tempo lungo e congruo per valutare la progressione della malattia.
«Il primo risultato raggiunto, anche se il progetto di Ricerca non è ancora concluso, è la casistica stessa: un vero e proprio patrimonio per chiunque studi il Parkinson. I progetti sulle malattie neurodegenerative che possono contare su una coorte di pazienti (un gruppo di persone accomunate da determinate caratteristiche in un periodo predefinito) sono davvero pochi e spesso portano a risultati significativi» ha concluso Albanese.