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PTX3 è un marcatore predittivo di co-infezione nei pazienti ospedalizzati
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PTX3 è un marcatore predittivo di co-infezione nei pazienti ospedalizzati

Uno studio recente, condotto dai ricercatori di Humanitas sui pazienti ospedalizzati per Covid-19, dimostra che il livello della molecola PTX3, facilmente misurabile nel sangue, permette di diagnosticare precocemente eventuali co-infezioni secondarie (spesso di tipo batterico o fungino) e di predirne il decorso, ottimizzando le terapie.

La Pentraxina 3 (PTX3) è proteina chiave della risposta infiammatoria, scoperta dal gruppo del Prof. Alberto Mantovani nei primi anni 2000. Grazie ai dati raccolti durante la pandemia da Covid-19, un gruppo di ricercatori guidati dalla prof.ssa Cecilia Garlanda, responsabile del laboratorio di Immonopatologia Sperimentale di Humanitas e professoressa ordinaria di Humanitas University, ha ora mostrato che questa proteina costituisce un biomarcatore diagnostico e predittivo per la diagnosi di infezioni secondarie.

Lo studio, pubblicato su eBioMedicine, evidenzia come PTX3 possa superare in efficienza e predizione i biomarcatori utilizzati tradizionalmente in clinica come la proteina C-reattiva (PRC) e la procalcitonina (PCT). Se ulteriormente confermati in futuri studi prospettici, i risultati ottenuti potrebbero aprire la strada alla sua implementazione clinica.

Lo studio è stato condotto in collaborazione tra i laboratori di Humanitas e i medici dell’Unità di Infettivologia, in particolare Enrico Brunetta e Federica Tordato. È stato possibile grazie ai fondi donati da Dolce&Gabbana nelle primissime fasi dell’emergenza e al sostegno di Fondazione Humanitas per la Ricerca, che ha permesso di istituire una biobanca dedicata a Covid-19 alla base delle tante scoperte fatte in Humanitas sulla risposta immunitaria al coronavirus.

Lo studio

Lo studio ha coinvolto 280 pazienti COVID-19 ospedalizzati: 101 con infezioni secondarie di origine batterica o fungina e 179 senza infezioni secondarie, a costituire il gruppo di controllo. I ricercatori hanno misurato i livelli plasmatici di PTX3 e li hanno confrontati con quelli di PRC e PCT, i due marcatori usati di rutine in contesto clinico.

“Le analisi hanno mostrato che i livelli di PTX3 sono significativamente più alti nei pazienti con co-infezioni rispetto a quelli senza infezioni secondarie e sono in grado di identificare la presenza di co-infezioni con maggior precisione rispetto ai marcatori già in uso,” spiegano Enrico Brunetta e Francesco Scavello, ricercatore presso il laboratorio diretto dalla prof.ssa Garlanda e primo autore dello studio. “Non solo, ma PTX3 si conferma un marcatore in grado di predire la mortalità a 28 giorni e l’ammissione in terapia intensiva nei pazienti con potenziali co-infezioni, rappresentando quindi un efficace strumento di stratificazione del rischio e di gestione mirata dei pazienti.”

Il potenziale diagnostico di PTX3

Le implicazioni dello studio vanno oltre il Covid-19 perché PTX3 è una molecola fondamentale della risposta immunitaria innata – si trova all’origine della catena di segnali infiammatori che guidano la risposta immunitaria nelle prime fasi dell’infezione: è lecito ipotizzare che PTX3 sia un marcatore efficace anche in altre condizioni in cui un paziente fragile viene ricoverato per un’infezione virale e c’è il sospetto della presenza di un’infezione secondaria, spesso nata proprio nel contesto ospedaliero.

“Questi risultati suggeriscono che l’introduzione di PTX3 in clinica permetterebbe di migliorare la gestione dei pazienti con infezioni gravi, identificando precocemente le infezioni secondarie e migliorando gli esiti terapeutici” afferma la prof.ssa Garlanda. “Utilizzare PTX3 in clinica aiuterebbe anche a ridurre l’uso non necessario di antibiotici, che oggi nei pazienti fragili con polmoniti vengono spesso somministrati preventivamente, anche senza evidenze della presenza di una co-infezione. Questo è particolarmente rilevante in un contesto dove la resistenza antimicrobica rappresenta una delle principali minacce alla salute globale.”