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Ritratti: 5 domande al professor Alessandro Zerbi

Direttore della Unità di Chirurgia Pancreatica di Humanitas a Rozzano

Professor Zerbi, lei ha sempre voluto fare il medico nella vita?

Non era il mio sogno da piccolo, se è questo che intende.

Ho deciso di fare medicina solo alla fine del liceo, anche se mi affascinava da tempo.
Sono stato molto contento della scelta, fin da subito. Nei primi anni ho studiato la ricerca di base e mi piaceva: ho avuto quindi un dubbio se approcciare la clinica o restare in laboratorio.

Ho scelto la clinica e mi è sembrato giusto l’ambito della chirurgia, la sentivo come una medicina “con qualcosa in più”, richiedeva competenze specifiche ma consentiva anche di mantenere un impegno nella ricerca, volendo.

Cosa la affascinava della chirurgia?

Applicare tecniche imparate, quindi una soddisfazione “manuale” degli studi, e poi la relazione psicologica, emotiva con il paziente: secondo me è fortissima in un chirurgo.
Quando il paziente ti dice “sono nelle sue mani” le parole coincidono davvero con la realtà.

Io sento che il paziente si affida a me, sento questa responsabilità: anche se faccio questo lavoro da tanti anni per me questa sensazione è sempre molto viva.
Il paziente deve fidarsi, non può fare diversamente, questo è stressante ma anche molto gratificante.

Però ha anche una grande anima da ricercatore

Lavorando in un’istituzione come questa che ha al suo interno ospedali, università, centri di ricerca, studenti, tutto è più facile: qui è possibile avere contatti con altri esperti, specialisti, tecnici, ricercatori. Lo scambio è vitale nel nostro lavoro. Quindi unire clinica e ricerca è quasi naturale.

Perché il pancreas?

Direi una casualità della vita.  Mi sono laureato al San Raffaele, il mio direttore, il mio mentore, era il professor Valerio Di Carlo: il suo interesse principale era il pancreas, ne sono rimasto affascinato anche io. A un certo punto mi ha identificato come la persona di riferimento per gli aspetti scientifici relativi al pancreas. In più mi sono sempre piaciute le cose difficili, e la chirurgia del pancreas è particolarmente complessa. Quindi un po’ per caso e un po’ per sfida.

Che messaggio vuole dare ai donatori per far capire loro quanto è importante contribuire a sostenere la ricerca?

Credo che chiunque sia d’accordo con l’affermazione che la salute è il bene più importante che abbiamo. Quando viviamo un problema di salute o lo vive un nostro familiare, tutto il resto diventa secondario.

Sembrerà banale, ma fare qualcosa per vivere meglio, più a lungo, con una buona qualità di vita, è l’aspirazione di tutti, ed è ciò che la medicina cerca di realizzare.
Dall’altro canto ci sono tante persone che cercano di migliorare la salute di altre persone, di curare le malattie: il loro lavoro può essere fatto in modo efficace solo con risorse economiche adeguate.

Possono metterci tutto l’impegno possibile, ma senza risorse non si può andare molto lontano: le istituzioni dovrebbero fare di più per la ricerca, ma così non è. In attesa che le cose cambino, ognuno di noi può fare la sua piccola parte sostenendo l’ambito della ricerca che sente più vicino o che ha più bisogno di aiuto. La salute è preziosa: se non si investe per aiutare i ricercatori a capire i meccanismi delle malattie, sarà più difficile riuscire a vivere meglio.