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Ritratti: 5 domande alla professoressa Marta Scorsetti

Responsabile dell’Unità Operativa di Radioterapia e Radiochirurgia di Humanitas e docente Humanitas University

Ha sempre desiderato occuparsi di medicina?

Assolutamente sì. Se tornassi indietro farei la stessa cosa, ho sempre voluto fare il medico, mi è piaciuto tantissimo iscrivermi a Medicina. L’amore nei confronti dell’Oncologia è nato quando, da studente di Medicina, sono entrata all’Istituto dei Tumori di Milano e, insieme ad altri colleghi, ho cominciato ad assistere ad alcuni interventi chirurgici.

Erano gli Anni ‘90, sentivo attorno a me un’atmosfera cupa: vedevo tanti malati affranti, molto provati dalle terapie. Quando si è giovane, si ha una vita davanti, ci si sente positivi, con tantissime energie da restituire al mondo: quindi mi sono detta che, volendo aiutare qualcuno, avrei dovuto dedicarmi ai pazienti oncologici. Capivo che c’erano le possibilità di raggiungere risultati importanti in quell’ambito ma che eravamo ancora lontani: ho lavorato in Istituto fino al 2003 e mantengo ancora un bel legame con quell’istituzione.

Quindi è la volontà di cambiare il destino dei pazienti che l’ha mossa verso la radioterapia?

Mi interessava dare una risposta a quella tristezza che leggevo negli occhi delle persone. In più stavano uscendo le nuove tecnologie in ambito radiologico, come gli acceleratori lineari, mi sembrava un approccio creativo e moderno per curare i pazienti. La Radioterapia è riuscita a rispondere a questo mio desiderio di migliorare vite troppo segnate nella quotidianità, è ancora oggi un ambito della medicina che ritengo concretamente efficace.

Lei, in un certo senso, ne ha seguito la storia: come si è evoluta la radioterapia?

Si è voluta tantissimo: siamo riusciti a mettere a punto terapie più mirate, più precise e molto meno tossiche. La grande sfida degli oncologi è salvare persone da quello che, per tantissimo tempo, è stato considerato il male incurabile, un aggettivo che Umberto Veronesi affermava non si dovesse nemmeno pronunciare: questa adesso è anche la mia filosofia.

Non potremo cancellare il cancro ma possiamo convivere con il tumore, mantenendo qualità di vita e dignità. La strada per sconfiggere il cancro è ancora lunga, ora puntiamo a cronicizzare la malattia, anche per questo mi interessa la ricerca traslazionale, quindi collaborare con altri ricercatori per approfondire le caratteristiche di un tumore e selezionare le cure per contrastarlo meglio.

Cosa vorrebbe dire a un donatore per convincerlo a sostenere la ricerca?

Direi che senza ricerca non c’è cura. Noi curiamo le malattie però potremmo curarle meglio: per farlo dobbiamo studiarle, formulare ipotesi, validare teorie che, una volta verificate, potrebbero migliorare la qualità di vita delle persone, farle vivere più a lungo.

Direi quindi che la vita non ha prezzo ma che c’è un costo per occuparsi della vita, un costo che vale la pena di sostenere, sacrifici che vale la pena fare, tutti insieme.

La ricerca richiede sacrificio: bisogna studiare tanto, raccogliere tanti dati, ma la soddisfazione di vedere un paziente che sta meglio, che vive bene anche dopo 10 anni da una diagnosi di tumore, è davvero enorme.

Manca in tutti la coscienza del fatto che la vita è limitata, che ci sono delle crepe ed è compito di medici e ricercatori ripararle: una semplice donazione potrebbe avere un impatto sulla vita di tanti.

È abbastanza naturale negare che la malattia ci riguardi da vicino, non crede?

Certo che è normale, basterebbe però prendere atto che viviamo una vita imperfetta per guardare più avanti e aiutare la ricerca, che lavora per tutti.

Io mi occupo di ricerca per rispondere ai bisogni dei malati, per arrivare a risultati che possono cambiare la loro vita. Lo faccio perché mi interesso delle persone, mi faccio delle domande per capire perché qualcuno reagisce bene a una cura e qualcuno meno, mi confronto con altri medici e ricercatori: questo, secondo me, è un modo di fare medicina multidisciplinare e creativo, reso possibile dal fatto che siamo in un grande istituto di ricerca. Non mi fermo alla risposta più semplice perché è la vita umana che necessita di più risposte, più attenzioni, ma queste cose fanno paura si capisce il valore della ricerca e della medicina solo quando, purtroppo, colpisce qualcuno di caro. Non dovrebbe essere così. Basterebbe un piccolo contributo da parte di tutti: sarebbe sicuramente utile anche per i pazienti oncologici candidati alla radioterapia che si affidano a me.