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Ritratto di scienza, parliamo di Ricerca Traslazionale e tumori con Luca Tiraboschi

La Ricerca Traslazionale porta i risultati della Ricerca al letto dei pazienti nel più breve tempo possibile. Un obiettivo che è quanto mai fondamentale quando si parla di tumori. Ci sono persone che non rispondono al meglio alle cure oncologiche più utilizzate e che incorrono in recidive. Esistono tipologie di cancro chemioresistenti o che sviluppano metastasi più frequentemente. Per tutti i pazienti e le pazienti affetti da tumori difficili da trattare, poter accedere tempestivamente a un nuovo farmaco o a un trattamento sperimentale può davvero fare la differenza.

Il dott. Luca Tiraboschi, recentemente proclamato PhD, si occupa di studiare il ruolo del microbiota intratumorale nel contesto del sarcoma dei tessuti molli e collabora al progetto guidato dalla Prof.ssa Maria Rescigno sullo sviluppo di un vaccino peptidico contro i sarcomi epitelioidi, tumori rari che colpiscono soprattutto i giovani.

Abbiamo chiesto a Luca di raccontarci più in dettaglio a cosa sta lavorando e perché ha deciso di specializzarsi nella Ricerca oncologica. I suoi studi sono supportati da Fondazione Humanitas per la Ricerca e da Associazione Orchestra per la Vita Aps, nata proprio con l’obiettivo di finanziare la Ricerca e la cura sui sarcomi epitelioidi.

Luca, quale percorso ti ha portato nel laboratorio di Maria Rescigno?

Ho avuto la fortuna di conoscere la prof.ssa Maria Rescigno e il suo team di Ricerca in occasione del tirocinio propedeutico alla stesura della tesi di Laurea Magistrale in Biologia. Infatti, dopo essermi laureato in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca, ho proseguito con il percorso magistrale in Biologia. Durante gli studi, il mio obiettivo è diventato sempre più chiaro: volevo intraprendere un percorso di Ricerca in ambito oncologico. Quello che desidero è poter dare il mio contributo alla Ricerca nell’ottica di migliorare la vita dei pazienti affetti da tumore. Proprio per questo, ho scelto di svolgere il periodo di tirocinio in Humanitas, dove ho avuto l’opportunità di poter lavorare a progetti di Ricerca incentrati sullo sviluppo di nuovi trattamenti per i pazienti oncologici.

Ho iniziato questa avventura con tanto entusiasmo e determinazione cercando di imparare il più possibile dai colleghi più esperti, collaborando allo sviluppo di un vaccino peptidico contro il melanoma (un progetto che era già in fase avanzata). Dopo la laurea magistrale, ho deciso di intraprendere il dottorato, iniziando a sviluppare un progetto sotto la supervisione della Prof.ssa Rescigno, basato sulla caratterizzazione del microbiota intratumorale dei sarcomi dei tessuti molli. Parallelamente collaboro anche allo studio di un secondo vaccino simile (nella concezione) a quello contro i melanomi, e rivolto in questo caso proprio contro i sarcomi.

Perché è importante studiare il microbiota tumorale?

Abbiamo riscontrato la presenza di batteri all’interno del tessuto tumorale dei pazienti affetti da sarcomi. La cosa interessante è che questi microrganismi degradano la doxorubicina, il farmaco terapico di elezione che usiamo generalmente per trattare questa patologia. In parole molto semplici, i batteri “aiutano” il tumore a continuare nella sua crescita, vanificando o comunque riducendo l’efficacia del farmaco. Il mio primo obiettivo è quello di comprendere e descrivere nel dettaglio questo meccanismo. In secondo luogo vorrei capire se è possibile mettere a punto nuovi trattamenti che combinano antibiotici e chemioterapici. Infatti, modificando il microbiota intratumorale potrebbe essere possibile ottenere una migliore risposta alle terapie.

A che punto è lo sviluppo del tuo progetto di dottorato?

Siamo arrivati ad avere un’idea precisa del meccanismo con cui i batteri degradano la doxorubicina e stiamo cercando di capire quanto questo fenomeno sia rilevante dal punto di vista clinico. Entro un anno dovremmo avere le risposte che stiamo cercando. Grazie ad un’importante collaborazione con l’MD Anderson Cancer Center di Houston potremo avere accesso ad un numero sufficiente di campioni per effettuare le analisi necessarie. Il sarcoma è un tumore raro, nel caso del sarcoma epitelioide addirittura rarissimo, per questo motivo non è facile avere sufficienti materiali biologici per studiare la risposta alla doxorubicina.

Quando hai capito che la Ricerca in oncologia fa per te?

La mia idea di esplorare il mondo della Ricerca oncologica nasce quando ero ancora molto giovane: già ai tempi del liceo ho realizzato la tesina per la maturità scientifica proprio su questo argomento. Questo tema è parte di me e mi sta molto a cuore, perché la mia stessa nascita è stata, in un certo senso, segnata dal cancro.

Quando mia madre era ancora nelle prime fasi della gravidanza, le è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin. Ha deciso coraggiosamente di posticipare le cure e io sono nato di sette mesi, momento in cui era diventato per lei necessario iniziare i trattamenti chemioterapici. Ero troppo piccolo per ricordare, ma l’accaduto ha segnato profondamente tutta la mia famiglia. Proprio grazie alla Ricerca, che a quel tempo era già in fase avanzata nel campo del linfoma di Hodgkin, le terapie sono state efficaci e siamo ancora tutti insieme dopo 30 anni. È anche questo epilogo felice, oltre al mio vissuto familiare, che mi ha spinto a intraprendere questa carriera. Il mio amore per la Ricerca, quindi, è un fatto personale oltre che una passione accademica.

La Ricerca è faticosa, sei soddisfatto per ora della tua scelta?

La Ricerca è tutt’altro che facile, ma quando sono arrivato nel laboratorio della Prof.ssa Maria Rescigno, ho iniziato a credere davvero che il contributo di ciascuno di noi è importante e può fare la differenza. Anche grazie al lavoro di Fondazione Humanitas per la Ricerca e di altre associazioni, ho visto una dimensione della Ricerca traslazionale che usa grandi mezzi e strumenti all’avanguardia per ottenere un impatto positivo in ambito oncologico e portare le migliori cure al letto dei pazienti. Durante il percorso di studi ho trovato interessante la teoria in campo biologico, ma di fatto rimane distante dalla Ricerca clinica. Il dottorato invece mi ha consentito di toccare con mano quanto la Ricerca può fare concretamente in corsia.

Nel prossimo futuro vorrei fare anche un’esperienza all’estero, seppur breve, per ampliare ulteriormente i miei orizzonti. Conoscere nuove realtà arricchisce il nostro bagaglio culturale ed esperienziale e ci aiuta a trovare nuove strade e percorsi.

Sono molto contento della strada che ho intrapreso. La carriera da Ricercatore, soprattutto nei primi anni, può essere in salita e caratterizzata dall’assenza di certezze professionali, simile a quelle di una vita da freelance. Tuttavia, trovo che queste sfide siano parte integrante di una scelta che, pur richiedendo impegno e perseveranza, offre anche opportunità di grande crescita e realizzazione. Inoltre, sento che è proprio quello che voglio fare, soprattutto nel campo della Ricerca traslazionale. Ho una grande stima per la Ricerca di base, poiché rappresenta il fondamento su cui si costruiscono tutte le altre scoperte. Tuttavia, ciò che mi motiva maggiormente è vedere come il nostro lavoro possa contribuire concretamente a migliorare la qualità della vita dei pazienti. Questa per me è la ricompensa più grande

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