Ritratto di scienza, parliamo di tumori testa-collo con Paolo Bossi
I tumori testa-collo richiedono un approccio clinico e scientifico attento: per la loro eterogeneità, la complessità dei trattamenti e le conseguenze sulla qualità di vita dei pazienti. La gestione di queste patologie prevede spesso terapie integrate, che pongono nuove sfide anche sul fronte della Ricerca.
In occasione di questa nuova uscita della Rubrica Ritratti di Scienza abbiamo coinvolto il Professor Paolo Bossi, oncologo medico in Humanitas e Professore Associato presso Humanitas University. In collaborazione con Fondazione Humanitas per la Ricerca, il Prof. Bossi sta anche coordinando alcuni studi focalizzati sul miglioramento dell’informazione ai pazienti, sulla gestione dei sintomi e su tecnologie innovative come la biopsia liquida, contribuendo allo sviluppo di modelli di cura sempre più personalizzati.
Di cosa si occupa oggi in Humanitas?
In Humanitas mi occupo del trattamento medico dei tumori della testa e del collo e dei tumori cutanei non melanoma. Si tratta di patologie complesse, che spesso richiedono terapie integrate come la radio-chemioterapia, con impatti significativi sulla qualità della vita dei pazienti. Il mio lavoro si svolge sia sul piano clinico, perché prendo in carico il trattamento dei pazienti, sia sul piano della Ricerca, con l’obiettivo di migliorare continuamente le cure e l’esperienza dei malati.
Cosa l’ha portata a scegliere l’oncologia medica?
Si tratta di una scelta che ho fatto dopo i primi sei anni di studi in medicina. È stata una decisione legata a un avvenimento personale, come purtroppo accade a molti colleghi. Mio padre è mancato per un tumore al polmone proprio durante il mio ultimo anno di studi. Avevo 25 anni, ed è stato un momento che ha segnato profondamente il mio percorso.
Fare l’oncologo, per me, è importante per due ragioni che ritengo essere fondamentali. Primo, posso entrare nella vita dei pazienti e accompagnarli in un tratto di strada particolarmente impegnativo, dal punto di vista fisico, umano e psicologico. È un compito delicato, ma credo sia anche un privilegio poter essere accanto alle persone in un momento tanto cruciale.
Il secondo aspetto è la possibilità di fare Ricerca. Per me è molto importante cercare, passo dopo passo, anche se si incontrano ostacoli e i risultati non sempre sempre positivi, di contribuire a migliorare le cure: dalla tipologia dei trattamenti alla qualità della vita, fino al modo stesso in cui ci relazioniamo con i pazienti. A volte è un percorso lento, ma quando si raggiunge anche un piccolo risultato, la soddisfazione è enorme. Amo molto anche il fatto che questa strada non la si percorre da soli: la forza della ricerca sta nel gruppo, nelle persone con cui ogni giorno si discute, si costruisce, si condivide.
In che modo la Ricerca può migliorare la relazione con i pazienti?
Grazie al sostegno di Fondazione Humanitas per la Ricerca sto coordinando un percorso di empowerment del paziente. Insieme al mio team stiamo sviluppando una serie di video informativi destinati ai pazienti con tumori testa-collo che affrontano trattamenti integrati come la radio-chemioterapia. Si tratta di terapie impegnative, che causano sintomi anche importanti: dal bruciore alla bocca alla difficoltà nel deglutire, fino a cambiamenti nella nutrizione o alla necessità di usare un sondino.
Stiamo realizzando materiali semplici, scaricabili su smartphone, che spiegano con chiarezza cosa aspettarsi. Vogliamo aiutare i pazienti a gestire meglio gli effetti collaterali. Questa iniziativa ha anche un valore di Ricerca: misureremo quanto questi strumenti possano realmente impattare sulla gestione dei sintomi.
Di cosa si sta occupando in laboratorio?
C’è un altro progetto, sempre sostenuto da Fondazione Humanitas, legato alla biopsia liquida per i tumori delle ghiandole salivari. È una tecnica che permette, con un semplice prelievo di sangue, di individuare frammenti del tumore stesso, anche prima che siano visibili con gli esami radiologici. È uno studio nazionale multicentrico, coordinato proprio da Humanitas.
Cosa rappresenta per lei la Ricerca scientifica?
La ricerca rappresenta un motore di cambiamento, ma anche di riflessione critica su quello che facciamo ogni giorno. È il modo in cui mettiamo in discussione la pratica clinica, migliorandola costantemente.
Non si tratta solo di studiare nuovi farmaci: spesso, la Ricerca ha a che fare con piccoli dettagli che possono fare la differenza. Penso, come ho già accennato, al modo in cui comunichiamo le terapie ai pazienti o a come li prepariamo a ciò che dovranno affrontare.
Anche questo è oggetto di studio, e anche questo può migliorare la qualità delle cure.
Come ho accennato credo che la cosa più bella della Ricerca sia il suo valore collettivo: ogni progresso non è mai il frutto del lavoro di una sola persona, ma della collaborazione tra molti professionisti. È una visione condivisa, che si costruisce nel tempo. Ed è proprio grazie al lavoro condiviso — alla capacità di fare rete con colleghi in Humanitas, in Italia e in Europa — che i progressi diventano realtà. I risultati arrivano quando c’è un progetto comune, costruito giorno dopo giorno da un team che lavora insieme.
Perché è importante donare per la Ricerca?
Rispondo facendo un esempio. L’associazione Sarà Pink ogni anno organizza una corsa benefica nel Varesotto in memoria di una giovane donna scomparsa per un tumore. I fondi raccolti vengono in parte devoluti proprio alla Ricerca sui tumori di testa e collo grazie anche a Fondazione Humanitas per la Ricerca. È un’iniziativa molto partecipata, con oltre 2.000 persone ogni anno, e rappresenta un sostegno concreto, oltre che un importante gesto di solidarietà.