Facebook Twitter WhatsApp LinkedIn Telegram

Articoli

Articoli Diamo voce alla ricerca

Marzo è il mese europeo di sensibilizzazione al tumore al colon-retto

Intervista al prof. Antonino Spinelli

Nel 2020 sono state stimate circa 43.700 nuove diagnosi di tumore al colon-retto in Italia (con una prevalenza di poco più del 10% nella popolazione maschile rispetto a quella femminile), e 21.700 sono stati i decessi causati da questa neoplasia.

Si calcola che siano circa mezzo milione gli italiani viventi che hanno ricevuto una diagnosi di tumore al colon retto. E purtroppo il numero di malati sta crescendo anche tra i più giovani.

Ne abbiamo parlato con il professor Antonino Spinelli, Direttore, U.O.C. Chirurgia del Colon e del Retto, Humanitas IRCCS, Rozzano Milano e Professore Ordinario, Humanitas University, Rozzano Milano, e Segretario Generale, European Society of Coloproctology (ESCP).

Professore, il tumore al colon-retto è uno dei big killer nel mondo. Quali sono le cause?

Le principali cause possono essere identificate in 3 gruppi: fattori genetici, familiarità e fattori non genetici.
Per quel che riguarda i fattori genetici, alcune malattie ereditarie caratterizzate da specifiche mutazioni geniche, sono associate a un aumentato rischio di sviluppare un tumore del colon-retto. Tra queste vi sono le sindromi poliposiche (la più comune è la poliposi adenomatosa familiare o FAP) e il carcinoma ereditario del colon-retto su base non poliposica (HNPCC o Sindrome di Lynch).

Per familiarità si intende la presenza di un parente di primo grado affetto da cancro o da polipi del grosso intestino.
I fattori non genetici sono molteplici: tra questi ricordiamo l’età (il rischio è superiore nelle persone anziane, anche se negli ultimi anni si è osservato un aumento dell’incidenza nelle persone di età inferiore ai 50 anni), il fumo, la sedentarietà, le malattie infiammatorie croniche intestinali (come la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), una storia clinica di pregressi polipi o di tumore del colon-retto.

Anche fattori nutrizionali e stile di vita possono giocare un importante ruolo: una dieta ad alto contenuto di grassi e proteine animali e povera di fibre è associata a un aumentato rischio. Obesità, sovrappeso e sedentarietà sono altri fattori di rischio legati a un’alimentazione e uno stile di vita poco sani.

Negli ultimi anni la ricerca ha compiuto grandi passi avanti e la sopravvivenza sembra in aumento: quali sono i principali filoni di ricerca? E quelli più promettenti?

Le chance di sopravvivenza dopo una diagnosi di tumore al colon-retto sono strettamente correlate allo stadio della malattia.
L’aumento della sopravvivenza che abbiamo osservato in questi ultimi anni è attribuibile innanzitutto all’efficacia del programma di screening nazionale (con la ricerca del sangue occulto nelle feci e la colonscopia), che consente una diagnosi più precoce, addirittura quando ancora non si parla di tumore ma di polipo adenomatoso.

È indubbio che anche i trattamenti medici e chirurgici si sono evoluti: oggi abbiamo a disposizione vari schemi terapeutici e tecniche chirurgiche mininvasive in ottica conservativa, senza intaccare l’accuratezza e la qualità della resezione oncologica.

L’approccio multidisciplinare è fondamentale per poter definire l’iter terapeutico più appropriato per ogni paziente: stiamo andando verso la “targeted therapy” o “terapia bersaglio”, che prevede l’utilizzo di farmaci definiti “intelligenti” o “a bersaglio molecolare”. Per questo l’analisi molecolare dei geni coinvolti nella patogenesi è diventata fondamentale per la scelta della terapia.

Negli anni più recenti anche l’immunoterapia – ovvero farmaci che inibiscono specifici checkpoint immunitari – si è aggiunta alle opzioni di trattamento disponibili.
Un’ulteriore nuova linea di ricerca consiste nel testare il DNA delle cellule tumorali isolate da campioni di sangue per cercare specifiche mutazioni e sviluppare nuovi trattamenti e terapie mirate.

Sempre nell’ottica di “terapia mirata”, sono in fase iniziale di studio alcuni test che permettono di ottenere una serie di informazioni sulle caratteristiche biologiche, molecolari e immunologiche del tumore da un campione di tessuto tumorale per identificare i farmaci più efficaci limitando gli effetti collaterali.

Professore, ha già ricordato che la prevenzione di questo tumore dipende anche da noi: quanto contano gli stili di vita?

Un’alimentazione sana e uno stile di vita attivo sono sicuramente strumenti validi nella prevenzione del tumore del colon-retto.

Ad esempio, una dieta ad alto contenuto di grassi animali e proteine sembra favorire la trasformazione maligna dei polipi del colon-retto. Questo non sembra avvenire con i grassi vegetali insaturi. Le fibre alimentari, in particolare quelle che non vengono digerite, come la crusca, sembrano invece avere un effetto protettivo. Nelle popolazioni con una dieta prevalentemente vegetariana l’incidenza di carcinoma del colon-retto è significativamente ridotta rispetto a quelle che seguono altri regimi alimentari.

L’attività fisica previene l’obesità e riduce il tempo di contatto tra le sostanze di scarto e la parete intestinale, limitando gli effetti tossici e infiammatori di queste sostanze.

Perché questo tumore, che tipicamente colpisce dalla mezza età in poi, sta aumentando nei giovani?

Il tumore del colon-retto nei giovani, definito “early onset” (età < 50 anni), sta aumentando vertiginosamente negli ultimi anni. Per dare un’idea: una persona nata negli Anni Novanta ha il rischio di sviluppare un tumore del retto 4 volte maggiore rispetto a una persona nata negli Anni Cinquanta e 2 volte maggiore di sviluppare un tumore del colon. Considerato che la maggior parte di questi tumori nei giovani sono sporadici – ovvero non associati né a fattori genetici né familiari – grande interesse è stato inizialmente posto sullo stile di vita, ad esempio sulla dieta ricca di zuccheri e grassi animali, e sulla sedentarietà. Recenti studi sembrano però indicare che il tumore sporadico del colon-retto nei giovani abbia caratteristiche biologiche e molecolari differenti da quello che si sviluppa in tarda età, rendendolo più aggressivo anche in stadi più precoci, e questo potrebbe anche influenzare la risposta ai vari trattamenti. Altri studi preliminari hanno invece identificato alterazioni in geni responsabili della segregazione cromosomica che non sembrano essere presenti nei tumori di pazienti con età > 50 anni.

La comprensione del motivo e delle cause di questa aumentata incidenza del tumore del colon-retto nei giovani è uno degli “hot topics” tra i ricercatori che si occupano di colon-retto. Il nostro gruppo di ricerca è stato uno dei primi a indagare le cause di questo fenomeno, insieme ad alcuni dei più prestigiosi centri di ricerca del mondo.

Le terapie rivolte ai giovanissimi malati sono le stesse degli adulti? Come viene trattato il tumore?

Le attuali linee guida mondiali non differenziano il trattamento in base all’età, anche se i dati della letteratura ci dicono che i giovani tendono a ricevere trattamenti medici e chirurgici più aggressivi sia sul tumore primitivo che sulle metastasi. Tuttavia questo approccio non sembra dare i risultati sperati in termini di sopravvivenza libera da malattia.

Questi risultati sembrano supportare l’ipotesi che il tumore del colon-retto che si sviluppa nei giovani differisca da quello che si sviluppa in più tarda età per fattori intrinseci, molecolari e immunologici, che lo rendono anche meno responsivo alle terapie.

In quest’ottica la caratterizzazione biologica del tumore per poter attuare una “terapia bersaglio” è ancora più importante: nella scelta del trattamento dei giovani pazienti devono essere presi in considerazione sia la tossicità legata ai regimi radio-chemioterapici sia le conseguenze funzionali legate a una chirurgia pelvica (come avviene nei tumori del retto) in termini di rischio-beneficio, qualità della vita e impatto sulla sfera psicologica, sociale ed affettiva.

Promuovere la prevenzione nei giovani non è compito facile: lei cosa farebbe per raccontare ai ragazzi che ci si può ammalare di tumore al colon anche in giovane età?

Credo che i social media, che frequentiamo tutti ogni giorno, ancor di più i giovani, possano essere utilizzati per sensibilizzarli sul tema. Promuovere specifiche campagne di sensibilizzazione, eventi sociali, favorire lo sviluppo di associazioni di pazienti per facilitare aggregazione ed engagement sono tutte possibili strategie per parlare ai giovani di un argomento che, proprio per la loro giovane età, non pensano possa loro appartenere.

Credo anche che il messaggio dovrebbe mettere in luce i sintomi e raccontare i fattori di rischio modificabili (la dieta, la sedentarietà, l’obesità).
Dal punto di vista di noi medici e ricercatori penso che si dovrebbe puntare a eseguire una colonscopia precoce, quindi dai 45 anni, in pazienti anche asintomatici ma con familiarità di primo grado, che estenderei anche al secondo, considerando i dati recentemente emersi dai nostri studi.

Anche la ricerca sul tumore al colon-retto dipende dal sostegno di tutti.
Fai crescere la ricerca con noi: dona ora!