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Ritratti: 5 domande alla dottoressa Rosalba Maria Concetta Torrisi

Caposezione della Sezione di Senologia Oncologica

Dottoressa di cosa si occupa in Humanitas?

Sono Capo Sezione della Senologia e da oltre 20 anni, di cui 12 in Humanitas, mi prendo cura delle donne con tumore al seno, seguendole durante tutto il loro percorso terapeutico in day hospital e in ambulatorio. Mi occupo anche di ricerca, lavorando su due versanti: il primo è rappresentato dai grandi studi clinici internazionali che valutano trattamenti innovativi e che ci consentono di offrire alle nostre pazienti nuove cure; il secondo è invece rappresentato dagli studi che portiamo avanti in modo indipendente dentro Humanitas, anche grazie alla collaborazione con i laboratori di ricerca: io lavoro su progetti di ricerca traslazionale (che hanno cioè come obiettivo l’applicazione in clinica dei risultati della ricerca di base) focalizzati sull’identificazione di fattori predittivi di risposta o di resistenza ai trattamenti oncologici. 

Siamo nel mese rosa, il mese della prevenzione e della ricerca al femminile: la ricerca oncologica qui ha fatto passi da gigante. A suo avviso quali sono le ricerche più innovative oggi? E quali traguardi particolarmente rilevanti intravede all’orizzonte? 

Nel lontano 2003 seguivo uno studio in cui venivano trattate donne con tumore HER2 positivo dopo l’intervento chirurgico (circa il 15% delle pazienti).  Nel 2003 dovevo spiegare alle pazienti con questo tipo di tumore che la loro malattia era tra le più aggressive, una di quelle con la prognosi peggiore, ma che c’era un trattamento sperimentale (si chiamava trastuzumab) che forse poteva aiutarle. Sono passati quasi vent’anni e quella ricerca, come tante altre che seguirono, ha cambiato la storia del tumore HER2 positivo, trasformandolo nel tumore al seno con la prognosi migliore: oggi abbiamo infatti farmaci mirati che bloccano il recettore HER2 e che hanno dimostrato grande efficacia. Ci sono donne con malattia metastatica HER2 positiva che vivono più a lungo rispetto a quanto eravamo abituati a vedere fino a qualche anno fa. Purtroppo non abbiamo gli stessi risultati per il tumore al seno triplo negativo, che non ha un bersaglio specifico e trattamenti mirati, e la cui la prognosi spesso è più severa. Ecco perché dobbiamo continuare a fare ricerca. 

Non solo, è anche migliorata la gestione delle terapie: solo per fare un esempio, la somministrazione di alcuni farmaci è passata dalla necessità di utilizzare un catetere centrale per l’infusione, spesso della durata di ore, a un’iniezione sottocute di pochi minuti. e una permanenza in ospedale molto breve farmaci utilizzati sono identici, l’impatto sulla sopravvivenza anche, ma la qualità di vita è molto più elevata.

La ricerca va avanti continuamente: i progressi ottenuti con i singoli studi a volte sono minimi e richiedono molto tempo, ma rappresentano  sempre passi avanti. Da quello che vediamo nella pratica clinica di tutti i giorni  è sicuramente cambiata la prospettiva, abbiamo pazienti con patologia metastatica da molto tempo che continuano a fare la loro vita. L’obiettivo di cronicizzare la  malattia metastatica per alcune tipologie di tumore sta diventando un traguardo possibile, purtroppo non  per  tutte le donne.

Tra gli obiettivi della mia ricerca c’è la medicina di precisione: capire in fase precoce quali donne beneficeranno di quali trattamenti, in modo da evitare di sottoporre una paziente a una terapia di cui non beneficerà e scegliere invece il trattamento più efficace, anticipando la malattia.

L’oncologia senologica è la dimostrazione concreta che la ricerca può cambiare la vita delle persone. 

Più del 50% delle pazienti con tumore al seno HER2 positivo ha una sopravvivenza che supera i 5 anni. Nello studio Cleopatra circa il 15% delle pazienti, a 10 anni dalla diagnosi di malattia metastatica, non presenta progressione di malattia. Abbiamo seguito donne che si erano ammalate attorno ai quarant’anni, quando i figli erano piccoli, e li hanno visti diplomarsi e  forse andare all’università. Si tratta di risultati importanti, ma non possiamo fermarci ora. 

Mi conferma dottoressa che c’è stato un incremento di insorgenza della malattia in età giovane?

Purtroppo è vero, si sta abbassando sempre più l’età di incidenza, ma la buona notizia è che questo è dovuto, almeno in parte, alla maggiore consapevolezza e al miglioramento della diagnosi precoce Ogni età ha le sue problematiche: nelle donne anziane ci può essere la gestione della comorbilità, le giovani hanno giustamente l’aspettativa di una vita lunga e “normale” dopo malattia. La sfida di noi medici è  anche quella di tenere sotto controllo gli effetti collaterali delle terapie che possono impattare su tanti aspetti, come la sessualità e la possibilità di avere figli. 

Lei si occupa di donne: come valuta la relazione con le pazienti? 

Posto che bisognerebbe chiedere alle pazienti, ritengo che la relazione con le paziente sia centrale! Essere medico donna favorisce una precoce sintonia con le pazienti, perché sanno che da donna posso capire meglio quelle situazioni difficili causate dalla malattia e che riguardano la femminilità, come perdere i capelli e le ciglia.

Dottoressa lei ha sempre voluto fare il medico?

Le racconto la mia storia: avrò avuto 15, 16 anni, stavo guardando in TV una trasmissione che si chiamava Check-up, in cui era ospite il professor Umberto Veronesi. È così che ho deciso di occuparmi di oncologia e tumori alla mammella. Non era né semplice né scontato: io vengo da Catania, lì a quei tempi non c’erano i reparti dedicati né il corso di specializzazione universitaria. Ho visto il primo paziente oncologico al secondo anno di specialità a Genova: nonostante questo sono riuscita a realizzare il mio sogno e ne sono molto contenta.

Non le chiedo neanche se avrebbe voluto occuparsi di altro, quindi…

Ho sempre avuto molti interessi, il pianoforte e la storia della musica, però la passione più grande è sempre stata la medicina.

Ecco l’ultima domanda: cosa direbbe ai donatori per far capire quanto è importante sostenere la ricerca, che è patrimonio di tutti, e non solo il vostro lavoro?

Racconterei di trastuzumab, il farmaco di cui abbiamo parlato all’inizio: prima dovevamo dire alle pazienti che la prognosi era sconfortante e che il rischio di recidiva era molto alto, adesso non più. La ricerca, di base e clinica, è la risorsa più importante che abbiamo: ci ha permesso di migliorare la durata e la qualità della vita di chi scopre di avere un tumore al seno e sono certa che se continuiamo a fare ricerca, e a sostenere la ricerca, potremo migliorarla ancora. Ci sono tanti progetti che possiamo realizzare con la partecipazione dei donatori: solo insieme possiamo rendere il tumore al seno sempre meno pauroso.